WITH YOUR EYES – M. Grey

With your eyes - M. Grey
Titolo: With your eyes
Autore: M. Grey
Formato Kindle
Lunghezza stampa: 429
Editore: Self published (2017)
Prezzo: 3,99 €

Difficilmente leggo libri autopubblicati, ma credetemi se vi dico che With your eyes di M. Grey è un romanzo che non dimenticherò. Sarebbe inutile qualunque tentativo di spiegare cosa mi ha fatto provare e mi ha lasciato dentro, vi dico solo che ho versato secchiate di lacrime. Ma cercherò di restare obiettiva.
Temi:
  • Disabilità e pregiudizi. Shawn è cieco. Ha una vita normalissima ma è cieco, e questo pare essere un problema per gli altri più che per lui. Perché gli altri, ovviamente, sono più ciechi di lui. Potrei perfino scrivere "cecità" come tema a sé, e parlo di cecità in senso ampio: tutte le cose che diamo per scontate e di cui non ci accorgiamo, "tutta la luce che non vediamo" [cit].
  • Amore vs infatuazione. Trovo che M. Grey abbia fatto un ottimo lavoro nel mostrare la differenza tra queste due cose. Il romanzo è piuttosto lungo ma va bene così, perché è così che funziona l'amore: nasce piano piano, cresce nel tempo ed è normale, è intimità e quotidianità; non è il colpo di fulmine e l'esplosione di passione che troppi autori – compresi i classici – vorrebbero spacciare per amore. Qui i personaggi si innamorano in modo autentico, e io mi sono innamorata di loro nel frattempo.

A proposito dei personaggi, al di là dei due protagonisti mi sono sembrati tutti uguali. Sembra che tutti siano belli, abbiano lo stesso tipo di personalità e interessi simili.
In compenso Shawn e Trevor sono meravigliosi. Voler bene a Shawn è fin troppo facile, perché è un ragazzo semplice, entusiasta, sempre gentile e non c'è un solo motivo per cui dovrebbe non piacere a qualcuno. Ma Trevor è il mio preferito. È il tipo di persona che in genere non degnerei neanche di uno sguardo: sicuro di sé, di successo, determinato, elegante, amante dei piaceri e della bella vita. Ma non è per niente, per niente vuoto. Si evolve nel corso della storia, ma già dall'inizio, nonostante l'aria da fighetto (sic), mostra un'integrità, un carattere, un'autoconsapevolezza e una correttezza che me l'hanno reso simpatico. E più avanti l'avrei proprio abbracciato, tante volte. L'ho visto esplorare con grande apertura ed entusiasmo una realtà che non è la sua, anche se è la sua. Mi ha fatto riflettere su tutte le cose che non vedo o che non sono in grado di apprezzare, mi sono sentita in colpa perché non sono come lui. Ho visto la sua gentilezza contrapporsi all'atteggiamento di ragazzi "come lui", che però si sentono superiori e cercano di affossare gli altri per elevarsi. Ho percepito i sentimenti che gli scoppiano dentro e, invece di invidiarlo, ne ho gioito con lui. Gli ho voluto tanto bene.

Riguardo allo stile, la scrittura è molto piacevole e scorrevolissima, il libro è lungo ma si legge molto fluidamente. A volte l'uso dei verbi mi ha lasciata un po' perplessa (per esempio l'uso dell'indicativo dove io avrei usato il congiuntivo), e in generale ho trovato qualche refuso. Alcune battute, soprattutto nei primi dialoghi tra personaggi che si sono appena conosciuti, mi sono sembrate poco spontanee o efficaci; altri dialoghi, più avanti, li ho trovati un po' troppo melodrammatici. Insomma, non nego di aver riscontrato qualche imprecisione tecnica, ma sapete una cosa? Non me ne frega niente. Mi è piaciuto e mi ha dato così tanto che non mi importa di qualche piccolo difetto stilistico. (Comunque ci tengo a precisare che nel complesso è scritto bene, non vorrei passasse il messaggio che è sgrammaticato.)
Ho trovato molto belle alcune descrizioni, nella scelta accurata delle parole e degli aggettivi (a tal punto che è dispiaciuto anche a me che Shawn non potesse vedere certi colori, certe immagini) e, soprattutto, nella resa delle sensazioni, quelle che compensano la mancanza della vista e che noi siamo abituati a ignorare, perché ci affidiamo troppo ai nostri occhi.
I dialoghi – visto che prima li ho bistrattati – sono spesso ironici e a loro modo teneri: ho apprezzato il fatto che i protagonisti (uomini) non si vergognino dei propri sentimenti, e non per questo sembrino dei rammolliti. Sono mascolini e virili quanto basta, ma hanno, come è giusto, delle emozioni che non c'è motivo di nascondere. Ho trovato molto belli i dialoghi in cui vengono fuori le incertezze di Trevor, i suoi dubbi riguardo alla condizione di Shawn, la delicatezza con cui esplora il mondo dal punto di vista dell'altro.
La mia analisi è fin troppo (lunga ed) emotiva, ma credo sia questo il maggior merito del libro: fa pensare ed emoziona.
Non posso che consigliarlo a tutti.

LE NOTTI BIANCHE – Fëdor Dostoevskij

Le notti bianche - Fëdor Dostoevskij
Titolo: Le notti bianche
Autore: Fëdor Dostoevskij
Traduttore: L. V. Nadai
Copertina flessibile: 96 pagine
Editore: Garzanti (2016)
Prezzo: 5,95 €

Le notti bianche è il mio libro preferito tra quelli che ho letto di Fëdor Dostoevskij. A costo di dire un'eresia, io non amo molto Dostoevskij ma questo racconto, o romanzo molto breve (si legge in un'ora), lo trovo stupendo.
Il tema principale è a mio parere la solitudine. Il celebre sognatore protagonista del racconto, a 26 anni, dichiara di non parlare mai con nessuno, di non avere relazioni di nessun tipo, di non essere mai stato con una donna.
E l'amore? Potrebbe essere il rovescio della medaglia, se non fosse che invece è un'occasione per finire ancora più soli, perché non è corrisposto: ci innamoriamo di persone che amano altri, e né noi né loro abbiamo scelta in questo. Non si può scegliere chi amare.

Riguardo ai personaggi, direi che sono ben descritti, anche con pochi tratti; il loro aspetto è abbastanza chiaro. Le personalità invece, considerata anche la brevità del racconto, non sono molto approfondite. Quello che si percepisce in modo nitido è la malinconia di ognuno di loro, la semplicità delle loro povere vite.
Il sognatore tuttavia, essendo anche voce narrante, si racconta molto bene. Come ho detto, non parla praticamente con nessuno finché non incontra Nasten'ka (e con lei parla un bel po'), ma dice di conoscere un sacco di persone perché le incrocia tutti i giorni, studia le loro espressioni, vede le loro emozioni e i loro pensieri. Parla anche con le case, con gli oggetti che incontra sul suo cammino. Ha una vita interiore molto profonda e attiva.

Lo stile è molto particolare, proprio perché si tratta perlopiù di lunghi dialoghi tra il sognatore e Nasten'ka, che spesso diventano quasi monologhi in cui lui si perde in deliri e fantasie e vi trascina anche il lettore. La scrittura è bellissima, fluida e scorrevole, è come fare il morto in un fiume e lasciarsi trasportare dall'acqua. Nonostante sia appunto delirante e quasi allucinata, non risulta confusa ma solo molto coinvolgente.
Le descrizioni sono semplici ed efficaci, soprattutto è resa molto bene la miseria nelle vite dei personaggi. Sembra tutto grigio (eppure vivo), è come guardare un film in bianco e nero.
So che tutto il mondo ama Dostoevskij ma non sento mai parlare abbastanza di questo libriccino, che invece secondo me dovrebbero leggere tutti. È un piccolo gioiello e io sono felice di averlo letto (due volte) nonostante la mia antipatia per l'autore.

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ROOM – Emma Donoghue

Titolo: Room. Stanza, letto, armadio, specchio
Autore: Emma Donoghue
Traduttore: C. Spallino Rocca
Copertina flessibile: 341 pagine
Editore: Mondadori (2016)
Prezzo: 11,90 €

Room di Emma Donoghue (conosciuto in Italia anche come Stanza, letto, armadio, specchio) è la storia di Jack, un bambino di cinque anni nato e cresciuto in una stanza, quella in cui la sua Ma' vive reclusa da quando Old Nick l'ha rapita per stuprarla ripetutamente.
I temi più importanti:
  • Famiglia, o più precisamente il rapporto madre-figli. Io Jack l'avrei preso a schiaffi, ma Ma' – come tutte le madri – è pronta a tollerare i suoi lati più fastidiosi. Ma a dire il vero anche tutti gli altri personaggi mi sono sembrati fin troppo pazienti.
  • Elaborazione del trauma. Si direbbe che, una volta sfuggiti a una situazione terribile e prolungata nel tempo, tutto sia ormai facile e meraviglioso, no? No. Perché quell'esperienza te la porti dietro tutti i giorni finché campi.
  • Rapporti e convenzioni sociali. Jack conosce solo la Stanza, per cinque anni non ha mai visto altro e quindi non sa come vivere nel mondo. Ma gli si perdona tutto perché è solo un bambino traumatizzato, ovviamente. Mi chiedo come sarebbe cambiata la trama se in quella stanza ci avesse vissuto per trent'anni.
  • Prospettiva e percezioni soggettive. Jack, appunto, conosce solo la Stanza e per lui è il mondo intero, mentre quello vero non ha alcun senso. Tutti noi diamo per scontate delle cose che non lo sarebbero affatto, se non le conoscessimo.

I personaggi principali sono appunto Jack e Ma', e sono entrambi piuttosto antipatici.
Le descrizioni sono sommarie ma sufficienti, mentre le personalità non sono molto incisive. Più che altro le risposte psicologiche di entrambi i protagonisti agli eventi risultano abbastanza chiare e comprensibili, ma è molto più difficile capire chi sono (tutti). Nessun personaggio è particolarmente approfondito, a parte Jack che è anche la voce narrante, perciò conosciamo i suoi pensieri. Lui è capriccioso e insopportabile ma, come ho detto, tutti devono essere pazienti e tolleranti con lui, il che rende alcune parti del romanzo piuttosto irritanti.
Fino alla fine non ho capito perché Ma' abbia deciso di insegnare le cose a Jack in un certo modo, l'ho trovato poco sensato; così come non capisco perché spesso gli racconti cose che lui dice esplicitamente di non voler sentire, come se volesse turbarlo apposta.

Lo stile è anch'esso fastidioso, appunto perché è Jack a raccontare i fatti e lo fa parlando nel suo modo irritante, personificando gli oggetti, sbagliando sempre gli stessi verbi e così via. Non che il libro sia scritto male, anzi, è anche molto scorrevole e piacevole da leggere, ma magari farlo raccontare da un bambino di cinque anni non è proprio l'idea del secolo.
Le descrizioni in generale mi sono sembrate vaghe e poco chiare. Spesso vengono sottolineati dei particolari irrilevanti (per esempio, è proprio necessario che Jack – un bambino di cinque anni, ribadiamolo – riferisca ogni volta che gli si alza il pene?) e alcuni eventi – il piano di fuga in primis – risultano davvero poco credibili e realistici. I dialoghi sono le parti in cui Jack dà il peggio di sé, maleducato anche quando si sforza di usare le buone maniere.
Ho trovato Room un bel romanzo, ma per certi versi eccessivo. È comunque una lettura che consiglierei.

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LA PIANISTA – Elfriede Jelinek

La pianista - Elfriede Jelinek
Titolo: La pianista
Autore: Elfriede Jelinek
Traduttore: R. Sarchielli
Editore: Einaudi (2017)
Prezzo: 12 €

Elfriede Jelinek ha vinto il nobel per la letteratura nel 2004 e La pianista è il suo romanzo più famoso. Io non mi spiego nulla di tutto questo.
È scritto senz'altro molto bene, ma non riesco a trovare altri pregi.
Innanzi tutto i temi: il romanzo è incentrato sul rapporto morboso tra la protagonista Erika, insegnante quarantenne, e la madre, che la manipola e la tratta ancora come se fosse una ragazzina incapace di intendere e di volere. Oltre a ciò (e a causa di ciò), altri temi di spicco sono la repressione e la nevrosi, il sesso, l'autolesionismo, la gelosia, il potere. Quest'ultimo in particolare rimbalza da un personaggio all'altro in un gioco che non vede mai nessun vincitore, e rende alquanto confuso il personaggio di Erika.

A proposito dei personaggi, sono fondamentalmente tre: Erika, la madre e Walter Klemmer, allievo di Erika con cui lei intraprenderà una specie di strana relazione.
Le descrizioni sono ottime, molto dettagliate. Erika e la madre sono presentate in maniera molto efficace sin dalla prima scena, tuttavia si ha come l'impressione che sia chiara l'idea dei personaggi, mentre "le persone" vere e proprie restano vaghe e invisibili. Si percepisce la loro energia, la loro aura, ma non sembrano persone vere. E inoltre sono tutti molto presuntuosi e odiosi.
Klemmer è un narcisista e maschilista che disprezza le donne anche se finge di no; più volte viene ripetuto che è innamorato, ma non fa che manipolare Erika con il suo atteggiamento di superiorità e i suoi insulti velati (ma neanche tanto). La mia idea di amore è un po' diversa.
Erika è presuntuosa e altera, e al contempo debole e molto immatura. Non sa cosa vuole, chiede e poi si lamenta se riceve quello che ha chiesto, vuole dominare ed essere dominata insieme.
Nella relazione entrambi risultano confusi e impacciati, non si capisce che ruolo voglia ognuno dei due, chi sia il padrone e chi lo schiavo. Non si capisce nemmeno perché interagiscano, a dire la verità.

Riguardo allo stile, ho già detto che il libro è ben scritto, il linguaggio è molto forbito e curato. Spesso risulta angosciante, si percepisce la tensione soprattutto del rapporto madre-figlia. Al contrario, quello tra Erika e Klemmer risulta asettico: non si percepisce nessuna emozione, anche le scene di sesso sono fredde e meccaniche, non c'è ombra di passione o desiderio (ma nemmeno di rabbia, di frustrazione, di dolore, sebbene a parole risultino presenti).
Ho apprezzato molto le descrizioni, che fanno ampio uso di similitudini e metafore spesso disgustose, molto efficaci (a lungo andare però diventano troppe), e la ricchezza di dettagli sensoriali, soprattutto visivi e olfattivi. Alcune scene sono disturbanti, quasi splatter.
Il problema è che quasi tutto il libro è descrizione, i fatti sono pochi e l'autrice si dilunga a descrivere o parlare di cose irrilevanti o di azioni quotidiane che non aggiungono nulla alla trama. Sembra una lunga prova di scrittura, poco coinvolgente. Di conseguenza La pianista non è un libro che consiglierei, anche se è stato interessante conoscere questa autrice.

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