UNA STAGIONE SELVAGGIA – Joe R. Lansdale

una stagione selvaggia joe r. lansdale
Titolo: Una stagione selvaggia
Autore: Joe R. Lansdale
Traduttore: C. Prinetti
Copertina flessibile: 184 pagine
Editore: Einaudi (4 ottobre 2016)
Prezzo online: 10,20 €

Vi dico subito che Una stagione selvaggia di Joe R. Lansdale non mi è piaciuto.
Due amici molto maschi e virili vengono coinvolti nell'appassionante ricerca di un malloppo di banconote smarrito in un fiume. Per tutto il tempo fanno i duri e sprizzano testosterone da tutte le parti, tranne che in presenza della pollastrella di turno, che guarda caso possiede tutte le caratteristiche che fanno impazzire gli uomini.
Visto il genere, questo romanzo vorrebbe forse creare suspance, incuriosire, ma vi dirò che io non ero per nulla curiosa. È il primo della serie con protagonisti Hap Collins e Leonard Pine, e io mi guarderò bene dal leggere gli altri.

Tutti i personaggi mi sono sembrati delle macchiette, degli stereotipi, come del resto ho già detto. I protagonisti sono dei maschioni, dei veri duri: le loro conversazioni sono scurrili, ricche di volgarità e insulti reciproci, perché è così che i veri uomini interagiscono tra di loro, e le attività preferite implicano l'uso di armi o della forza fisica, perché ognuno dei due deve dimostrare di essere più bravo e più forte dell'altro. A Leonard, però, concedo una buona dose di ironia. Almeno quello.
Anche gli altri personaggi sono poco credibili, soprattutto Trudy, che sembra essere l'unica donna esistente sulla terra e, per la gioia di tutti, è bella, bionda, formosa e ogni sua parola o gesto provoca esplosioni nelle mutande di tutti gli uomini nel raggio di un chilometro, tranne quelli omosessuali (ma forse anche quelli).
Ma sul serio, Lansdale? Avrei potuto anche stimarti, ma così non ci siamo proprio.

Lo stile dell'autore è apprezzabile, ma lo so soprattutto grazie alla lettura di un altro libro, Acqua buia, perché qui – ripeto – il linguaggio è quello dei maschioni, un'esasperante ripetizione di «cazzo» e «culo», quindi non mi ha coinvolto più di tanto. Questo libro sembra scritto proprio a beneficio di quel tipo d'uomo che beve birra e poi accartoccia la lattina asciugandosi la bocca col dorso della mano, per poi concludere in bellezza con un sonoro rutto.
In compenso è abbastanza breve.
So che Lansdale piace molto anche dalle donne, e del resto io stessa ho apprezzato Acqua buia, ma credo che Una stagione selvaggia avrebbe potuto piacermi solo se fossi stata un uomo, e non uno qualunque, ma uno molto sessista e con velleità da vero duro.

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BARABBA – Pär Lagerkvist

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Titolo: Barabba
Autore: Pär Lagerkvist
Traduttore: G. Oreglia
Copertina flessibile: 157 pagine
Editore: Jaca Book (22 marzo 2012)
Prezzo online: 13 €

Barabba è il titolo di questo romanzo di Lagerkvist e, come tutti sappiamo, è anche un nome, che ci dice da subito di chi parla il libro. Si tratta per l'appunto di un romanzo, quindi non di fatti storici documentabili, bensì dell'immaginazione di Lagerkvist. E ciò che l'autore immagina è la vita di Barabba dopo gli eventi di cui tutti siamo a conoscenza; i suoi stati d'animo, le sue emozioni, l'incredulità e la malcelata curiosità nei confronti di Gesù, colui che è andato incontro a quella morte che allo stesso Barabba è stata risparmiata.
Ripeto, è un romanzo e parla di un uomo: non è un libro per il catechismo. Anche se tra i temi trattati, ovviamente, c'è quello della fede.

Tra i personaggi, ho trovato Barabba abbastanza interessante come uomo, nel suo riserbo e nei suoi modi di fare, come nei suoi pensieri. E ho trovato che "la grassona" sia stata resa patetica in maniera efficace, ma mi ha anche infastidito questo continuo riferirsi a lei come "la grassona", come se fosse definita solo dal suo grasso. Lo stesso vale anche per altri personaggi, definiti attraverso i loro difetti.
In compenso le descrizioni fisiche, in generale, sono molto accurate.

Lo stile narrativo invece mi ha annoiato molto, e in particolare ho trovato incomprensibile l'uso della punteggiatura. Alcuni periodi ho proprio avuto difficoltà a decifrarli, se non al prezzo di ripetute interpretazioni.
Io credo che l'idea alla base del romanzo fosse piuttosto interessante, ma in definitiva il libro mi ha annoiato e non ha destato in alcun modo la mia curiosità. Okay, Barabba riflette su quanto accaduto, pensa e si informa riguardo a Gesù, cerca di capire... ma tutto avviene in modo noioso per uno spettatore esterno. Mi aspettavo di più.

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LA SCHIUMA DEI GIORNI – Boris Vian

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Titolo: La schiuma dei giorni
Autore: Boris Vian
Traduttore: G. Turchetta
Copertina flessibile: 268 pagine
Editore: Marcos y Marcos (9 maggio 1996)
Prezzo online: 12,75 €

Mi è difficile analizzare La schiuma dei giorni di Boris Vian perché, a dire la verità, mi ha lasciata un po' perplessa e confusa. Non mi è dispiaciuto, ma non sono riuscita a prenderlo molto sul serio. Troppo surrealismo per i limiti della mia mente bacata.
La trama di per sé è anche piuttosto triste: Colin è un ragazzo ricco che non ha bisogno di lavorare e impiega il suo tempo tra invenzioni strane e la compagnia di un paio di amici. Poi conosce Chloe e se ne innamora, la sposa, lei si ammala.
Così non sembra neanche tanto originale, ma in realtà lo è, perché il tutto è raccontato e descritto in maniera davvero assurda, così assurda che, appunto, anche nei momenti più tristi io non sono riuscita a sentirmi emotivamente coinvolta, perché continuavo a pensare solo "eh?". E poi i topi mi disgustano.

I personaggi non hanno nessun carattere o personalità, sono delle macchiette e le loro azioni e reazioni sono imprevedibili, come tutto il resto. Non è possibile pensare a "che cosa farebbe Tizio se...", perché potrebbe fare o dire qualsiasi cosa, magari anche morire all'improvviso, perché di morti random è pieno tutto il libro (non è neanche uno spoiler, credetemi).

Lo stile è sicuramente apprezzabile, in particolare certe descrizioni sono davvero bellissime ed efficaci. In generale il romanzo è scritto molto bene, su questo non posso certo criticare Vian. Ma neanche sul resto, in realtà, perché è davvero una questione di impostazione mentale mia. Purtroppo io sto sempre a cercare un senso nelle cose, e questo libro è l'esatto opposto di quello che cerco nella lettura, ovvero realismo e verosimiglianza. Il senso c'è, nel complesso, ma i dettagli non sono verosimili, sono più che altro simbolici, e il mio cervello si rifiuta di acquisire informazioni in questo modo.
Tuttavia si tratta di una lettura interessante; io non conoscevo l'autore e consiglierei anche di leggere altre sue opere a chiunque abbia una mentalità meno rigida della mia, perché secondo me ne vale davvero la pena.

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IL FIGLIO MASCHIO – Giuseppina Torregrossa

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Titolo: Il figlio maschio
Autore: Giuseppina Torregrossa
Copertina rigida: 309 pagine
Editore: Rizzoli (8 ottobre 2015)
Prezzo online: 15,72 €

Voto: **

Il figlio maschio di Giuseppina Torregrossa è l'ennesima prova di quanto io e gli autori italiani non andiamo d'accordo. Le ambientazioni sicule e il dialetto non fanno che peggiorare le cose.
Protagonista di questo libro, a mio parere fin troppo lungo, è la famiglia Ciuni. Il padre Turiddu non sopporta che la moglie abbia voluto far studiare tutti i loro figli, perfino le femmine, e che ora nessuno di loro voglia occuparsi della terra di famiglia, perché hanno tutti velleità intellettuali. Alla fine – colpo di scena! – saranno proprio le donne a prendere in mano le redini della situazione e dimostrare il loro valore, e blablabla.
Il figlio maschio è dunque una saga familiare, e se io ho abbandonato i Cazalet, che almeno erano persone normali, di certo non avrei potuto amare di più questi zaurdi. In ogni caso, i temi fondamentali sono appunto la famiglia, il lavoro e le differenze di genere, visto anche il tipo di società maschilista all'interno della quale si svolgono le vicende. Per fortuna le donne si rivelano più furbe di quanto ci si aspetti, tanto da usare la propria presunta inferiorità quasi come un'arma, e quindi a proprio favore.

I personaggi, questo sì, sono descritti bene, con particolari molto dettagliati e, volendo, anche caratterizzati discretamente. Ho trovato Concettina un bel personaggio; "bel" si fa per dire, visto che a quanto pare è bruttissima, ma è un personaggio ben costruito.
Anche Filippo, il primogenito, è ben caratterizzato nella sua imbecillità e antipatia di uomo pseudo intellettuale che, però, si fa facilmente manipolare dalla moglie.

Lo stile non mi è piaciuto per niente ma, come è ormai chiaro, non è colpa dell'autrice: non posso dire che scriva male, è solo che personalmente non sopporto il dialetto e la terminologia sicula. (Chiamatelo razzismo se volete, ma sono siciliana anch'io, quindi non parlo certo con superiorità.) Inoltre mi pare che si tenda a rappresentare la Sicilia in maniera stereotipata: è vero che spesso siamo dei bifolchi trogloditi, ma non siamo tutti uguali. Spero.
Comunque è evidente che si tratta di un mio problema, non sono per niente obiettiva. Il romanzo gode infatti di un'ottima reputazione, e lo trovate qui: http://amzn.to/2pDoe5Q

IL LUPO DELLA STEPPA – Hermann Hesse

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Titolo: Il lupo della steppa
Autore: Hermann Hesse
Traduttore: E. Pocar
Copertina flessibile: 262 pagine
Editore: Mondadori (2009)
Prezzo online: 10,20 €

Voto: ***½

Il lupo della steppa è uno dei più celebri e importanti romanzi di Hermann Hesse ed è obiettivamente un gran libro. Ma non è un libro per tutti e, soprattutto, per ogni momento. Dice tante cose intelligenti ma andrebbe letto al momento giusto.
La trama non è affatto importante quanto gli spunti di riflessione che contiene, ma ve la riassumo in due parole: Harry Haller è un uomo depresso che si è quasi completamente ritirato dalla società e non riesce a godere di nulla, annientato dalla costante lotta tra l'uomo e il lupo dentro di lui. Incontra Erminia, che in un modo o nell'altro gli insegnerà di nuovo a vivere.
Le riflessioni di Harry toccano tanti temi, tra cui l'intelletto e l'istinto, il dolore, la morte e il suicidio, la società, l'inadeguatezza, la solitudine, la distanza tra sé e gli altri. Perché Harry non è sicuramente l'uomo medio, e non lo era neanche ai suoi tempi.

I personaggi di questo romanzo sono interessanti in un modo strano. Innanzi tutto si tratta sicuramente di parti dello stesso Hermann Hesse (basti guardare i nomi: Harry, Ermanno ed Erminia nella mia triste edizione coi nomi tradotti, Hermann ed Hermine in originale), e quindi capiamo già che il libro contiene molti elementi autobiografici.
Il protagonista è descritto e scandagliato in profondità, direi anzi sviscerato, fatto letteralmente a pezzi per studiarne ogni sfaccettatura, ogni suo pensiero e sentimento. Gli altri invece sono solo degli accessori, neanche del tutto reali, più che altro dei riflessi o delle proiezioni dello stesso protagonista (o autore).

Il lupo della steppa è un romanzo quasi psichedelico, che può creare confusione soprattutto alla prima lettura. Si può avere la sensazione di non capirci nulla (io l'ho avuta ed è la terza volta che lo leggo, fate un po' voi), però è scritto davvero molto bene, il linguaggio è ricercato e la scelta delle parole perfetta in alcuni casi. È un'ottima prova di scrittura in cui si mescolano anche stili differenti, perché il libro è diviso in parti diverse tra loro. Insomma, è pur sempre Hermann Hesse, mica il primo idiota che passa.
La traduzione invece è deludente, perché come ho detto i nomi sono tradotti – e per me non dovrebbero esserlo mai – e perché si fa uso di termini troppo antiquati e perfino scorretti, secondo me. La mia edizione è vecchia, come al solito spero che quella aggiornata sia migliore.
Lo consiglio? Sì, lo consiglio, ma con tutte le precauzioni del caso, come ho detto. È comunque un libro da leggere.

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