Titolo: L'abbazia di Northanger
Autore: Jane Austen
Traduttore: E. Grillo
Copertina rigida: 192 pagine
Editore: Newton Compton Editori (2015)
Prezzo: 4,65 €
L'abbazia di Northanger è il romanzo meno noto di Jane Austen e, secondo Malcolm Skey, "non è mai stato il preferito di nessuno". Bene, sapete che vi dico? È il mio preferito. Perché è il più divertente e ironico di tutti, o almeno quello in cui l'ironia è più esplicita, dato che si tratta di una vera e propria parodia insieme del romanzo d'amore e del romanzo gotico, i generi più diffusi e amati del tempo.
I temi sono comunque i soliti di Jane Austen:
- Società, in primis. Come in ogni suo romanzo, l'autrice offre qui uno spaccato della società del suo tempo, e in questo caso lo fa appunto con ironia tagliente, quasi sprezzante. Le interazioni si basano su convenzioni affettate e, soprattutto, sulla posizione sociale delle persone coinvolte. Matrimoni e accordi vari, manco a dirlo, totalmente a convenienza.
- Come dicevo prima, letteratura e romanzi. Jane Austen prende in giro i generi più popolari, e al contempo critica chi critica i romanzi; e spesso i critici sono gli stessi romanzieri. Insomma, l'annosa questione per cui i romanzi sarebbero solo passatempi per donnicciole, mentre i saggi sarebbero nutrimento per l'intelletto.
- Amicizia. In particolare vengono messe a confronto due tipi di amicizia o, per meglio dire, di amici. Da una parte i Thorpe, con cui la protagonista Catherine stringe rapporti basati su falsità e manipolazioni varie, e dall'altra i Tilney, che si dimostreranno amici onesti e sinceri nonostante le avversità.
- Amore, ovviamente. Anche se qui lascia un po' l'amaro in bocca: non poteva mancare il lieto fine, ma per qualche motivo l'autrice ci tiene a sottolineare che l'amore di Henry per Catherine è fondato sulla gratitudine, ovvero lui l'ama perché lei ama lui. Una cosa piuttosto triste e ben poco romantica.
I personaggi sono ben fatti e, in particolare, i Thorpe sono tra i più antipatici che si possano incontrare in un romanzo. In quanto molto verosimili, risultano doppiamente antipatici: Isabella è una vipera, falsa in modo vergognoso; suo fratello John un cafone intollerabile, da prendere a pedate in bocca.
Catherine è piuttosto stupida, ma almeno lo è in maniera esplicita e umile. E anche suo fratello James si dimostra un povero allocco facilmente manipolabile. Comunque li si perdona per la loro bontà e ingenuità.
Henry Tilney mi è piaciuto molto: credo sia il più ironico e fantasioso tra i protagonisti maschili della Austen.
Il punto forte dello stile è proprio l'ironia, che rende questo romanzo divertente e molto meno noioso degli altri dell'autrice.
Anche qui, comunque, non mancano i soliti dialoghi frivoli e incentrati su dettagli e fatti inutili e per niente interessanti, soprattutto quando sono coinvolti i fratelli Thorpe. Convenevoli e falsità senza fine, arricchiti dalle cafonate di John. Tutta un'altra cosa rispetto ai dialoghi che vedono invece coinvolti i Tilney, i quali parlano anche di letteratura, storia e arte, e in toni molto più eleganti.
È un peccato che, tra i romanzi dell'autrice, questo sia praticamente ignorato. Io vi consiglio di leggerlo.
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