IL CONTE DI MONTECRISTO – Alexandre Dumas

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Titolo: Il conte di Montecristo
Autore: Alexandre Dumas
Traduttore: R. Reim
Copertina rigida: 897 pagine
Editore: Newton Compton (settembre 2016)
Prezzo online: 8,42 € (gratis con Kindle Unlimited)

Voto: ****½

Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas è un romanzo immenso che ho impiegato un mese a leggere. Eppure mi dispiace aver finito perché è davvero, davvero bello.
La storia è conosciuta anche grazie agli adattamenti cinematografici: Edmond Dantés viene ingiustamente accusato e condannato. Dalla prigione, seppur dopo molti anni, riesce a fuggire e da allora dedicherà la sua vita a vendicarsi di coloro che gliel'hanno rovinata. Nel frattempo l'intreccio e i collegamenti tra i personaggi rendono il romanzo degno di una soap opera (molto più interessante e con un bel finale).
Diciamo perciò che il tema centrale è quello della vendetta, ma ce ne sono altri ricorrenti: il denaro, il suo potere di cambiare una vita. E poi la Provvidenza, l'amore, la morte, l'ipocrisia e, soprattutto, l'onore. Infine la speranza, anche nei momenti più bui.

Vista l'epoca, i personaggi femminili sono tutti uguali tra loro, con una distinzione tra buone e cattive. Ma la bontà è uguale per tutte, e la cattiveria anche, perciò direi che la caratterizzazione lascia a desiderare. Spicca il personaggio di Eugénie Danglars, che si distingue da tutte le altre donne del romanzo.
Gli uomini sono descritti e caratterizzati molto meglio, soprattutto i cattivi, anche attraverso piccole sfumature, gesti, sguardi, parole. Di Edmond si percepisce perfettamente il cambiamento, non solo perché è palese (da modesto e ingenuo marinaio a "conte" ricco e misterioso, colto, vendicativo e cupo), ma perché appunto ci sono piccole cose perfino della sua fisionomia che vengono descritte così minuziosamente che il cambiamento glielo leggiamo in faccia, e non sorprende che quasi nessuno degli altri personaggi, rivedendolo dopo anni, lo riconosca.
Anche di Villefort vengono ben rappresentate le due facce, che però lui sfoggia insieme. Un personaggio agghiacciante, come sua moglie.
Ho apprezzato molto Maximilien Morrel, il personaggio "buono" per eccellenza, ma anche coraggioso e appassionato.

Lo stile è perfetto. Le descrizioni sono molto accurate e la prosa elegante ma non pomposa, coinvolgente e di una scorrevolezza unica per un libro così lungo. Dumas gioca con le emozioni del lettore, per esempio rappresentando l'allegria del carnevale subito dopo l'esecuzione di un condannato.
Non annoia mai e, anche se ho impiegato tanto tempo a leggerlo, mi sono goduta ogni momento. Non è mai pesante e, sebbene a dominare sia la freddezza della vendetta, ci sono (pochi) momenti di amore romantico e di pathos così sentiti e commoventi che compensano il resto. Per fortuna, Newton Compton non ha tradotto i nomi dei personaggi, come invece hanno fatto altri editori. Ho trovato ottima questa traduzione priva di errori nella consecutio temporum, cosa che invece riscontro quasi in tutti i libri del mondo. (Nella seconda metà, tuttavia, ho trovato un po' di refusi. Quella che linko è l'edizione aggiornata, speriamo bene.)
Non potrei non consigliare questo libro.

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POIROT E I QUATTRO – Agatha Christie

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Titolo: Poirot e i Quattro
Autore: Agatha Christie
Traduttore: M. Tropea
Copertina flessibile: 178 pagine
Editore: Mondadori (1 aprile 2002)
Prezzo online: 7,12 €

Voto: ***

Poirot e i Quattro di Agatha Christie è un libro un po' anomalo, rispetto agli altri della serie. Ho intenzione di leggere tutti i libri con protagonista Poirot e, fatta eccezione per Assassinio sull'Orient Express, che ho letto per primo, sto seguendo l'ordine cronologico. Poirot e i Quattro è ancora uno dei primi, ma già si distingue dagli altri. Non ci troviamo, infatti, di fronte a un giallo in stile classico, con omicidio in luogo chiuso e investigatore che indaga tra i presenti, bensì a un quasi-thriller più complesso, a un complotto architettato molto più in grande.
I Quattro del titolo costituiscono un'importante organizzazione criminale che ha in progetto di conquistare il mondo, perciò non c'è un singolo omicidio su cui indagare, ma stavolta Poirot e Hastings dovranno viaggiare e indagare in diverse sedi per smascherare i componenti della banda. Nel frattempo gli omicidi non mancano e, come scritto nella postfazione della mia edizione, leggiamo quindi più "gialli nel giallo".
Una cosa che ho molto apprezzato è l'importanza data, in questo libro, all'amicizia tra Poirot e Hastings, e in generale agli affetti e alla famiglia. In un punto mi sono addirittura commossa, confesso.

I personaggi non sono caratterizzati più di tanto, perché non è necessario. Malgrado ciò, Poirot è descritto con minuzia non solo nelle sue caratteristiche fisiche, ma anche in tutte le sue piccole abitudini, nei suoi gesti, perfino nelle sue espressioni. Il contrasto tra l'aspetto fisico e l'atteggiamento dignitoso rende simpatico, perfino ridicolo a tratti, un personaggio che, altrimenti, risulterebbe insopportabilmente borioso.
Anche i criminali sono più interessanti del solito, perché si tratta appunto di un'organizzazione formata da quattro menti geniali e diverse tra loro, quindi niente a che vedere col solito figlio che uccide per l'eredità, marito che commette un delitto passionale o l'immancabile maggiordomo.
Il mistero del cosiddetto "Numero Quattro" rende questo personaggio difficile da decifrare ma, forse proprio per questo, ancora più meritevole d'attenzione.

Lo stile della Christie è piacevolissimo, molto semplice e scorrevole ma mai banale. Le descrizioni sono accurate, per necessità del genere. Uno stile perfetto per questo tipo di romanzo, che fa esattamente il suo dovere: incuriosisce sin dall'inizio e fa scorrere le pagine velocemente in cerca della soluzione. In questo libro in particolare ci sono alcuni espedienti che risultano fin troppo scontati per il lettore, ma ci sono anche sorprese e colpi di scena fino all'ultimo. E perfino qualche picco di pathos, come già sottolineato.
Come tutti i libri dell'autrice, quindi, consiglio anche questo, soprattutto se leggete per evasione, o se volete fare una pausa leggera ma non banale tra libri più impegnativi.

NEVE – Maxence Fermine

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Titolo: Neve
Autore: Maxence Fermine
Traduttore: S.C. Perroni
Copertina flessibile: 111 pagine
Editore: Bompiani (24 novembre 1999)
Prezzo online: 9,35 €

Voto: ***½

Maxence Fermine è stato uno dei miei scrittori preferiti quando ero giovane, e Neve è il suo romanzo più famoso. Se dovessi usare un aggettivo per descriverlo direi che è bianco. Non solo per la copertina candida, ma perché Neve non è solo un titolo, è la sensazione che ogni pagina trasmette: qualcosa di bianco che cade lieve.
Yuko, che appartiene a una famiglia di monaci e guerrieri, a diciassette anni decide di diventare poeta. Protagonista dei suoi haiku è sempre la neve, a tal punto che le sue opere non hanno colore, sono bellissime ma solo bianche. Intraprende perciò un viaggio per imparare dal vecchio maestro Soseki l'arte dei colori, e nel suo viaggio incontrerà una donna bellissima e candida che si chiama Neve e che cambierà la sua vita, come ha già cambiato quella di Soseki.
Neve parla di poesia, di amore e di morte, della ricerca di sé attraverso tutte queste cose. E di neve.

È una sorta di parabola, ricca di simboli più che di fatti, ed è anche molto breve. I personaggi non hanno quindi bisogno di essere caratterizzati, perché è importante quello che rappresentano. Perfino i nomi sono evocativi: Neve, Yuko (che in giapponese significa sempre neve), Fiocco di Primavera (un po' eccessivo, ma tant'è!). Ma forse il loro fascino sta proprio nel loro essere così vaghi e tratteggiati con tanta delicatezza. E poi trovo azzeccatissima l'ambientazione giapponese: mi immagino tutte queste persone con capelli nerissimi in mezzo al bianco della neve.

Lo stile di Maxence Fermine è conciso e molto poetico. Frasi brevi e delicate, capitoli anch'essi brevissimi e, del resto, il romanzo stesso si legge in meno di un'ora. È diviso in tre parti e c'è una storia dentro la storia: quella di Soseki che si intreccia con quella di Yuko.
Questo libro "è una poesia di un candore smagliante", che parla a sua volta di poesia. Anche la sua fine è un haiku, un ultimo tocco di bellezza come ciliegina sulla torta.
Se non conoscete l'autore, Neve è un ottimo primo approccio (anche se, lo dico sempre, il mio preferito è Il violino nero, di cui magari vi parlerò più in là).

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UNA BRAVA RAGAZZA – Joyce Carol Oates

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Titolo: Una brava ragazza
Autore: Joyce Carol Oates
Traduttore: S.C. Perroni
Copertina flessibile: 217 pagine
Editore: Bompiani (maggio 2010)
Prezzo online: 9,35 €

Voto: **

Joyce Carol Oates racconta la storia di Katya Spivak, Una brava ragazza di sedici anni che conosce per caso e si lascia abbindolare da Marcus Kidder, un uomo che potrebbe essere suo nonno ma che è alto, elegante e molto ricco. Diventano sempre più intimi, finché lei comincia a posare per lui, che vuole ritrarla e intrappolare sulla tela la sua perfetta giovinezza.
In tutto questo si intrecciano strane forme di amore, desiderio e repulsione allo stesso tempo, manipolazione e violenza psicologica, bisogno disperato di approvazione, seduzione, morte. Ed è fastidiosamente presente un continuo richiamo all'educazione femminile finalizzata a compiacere l'uomo.
L'insieme è abbastanza morboso e disgustoso ma comincio a pensare che questo sia proprio il tipo di effetto che Joyce Carol Oates va ricercando.

Nessuno dei personaggi mi è piaciuto, in particolare nessuno dei due protagonisti. Tuttavia, nel loro essere disgustosi sono caratterizzati piuttosto bene.
Katya mi è sembrata stupidissima, anche se alla luce della sua età, della sua vita, della sua famiglia e del suo passato i suoi comportamenti e le sue reazioni sono forse giustificabili, o comunque possono essere compresi come mezzi per ottenere la tanto agognata approvazione. Peccato questo significhi leggere tutto il libro urlando tra sé «CRETINA!». La psicologia del personaggio è ben indagata.
Kidder è invece solo viscido e squallido, non ha nulla di attraente per quanto si possa ripetere che è ricco, simpatico e spiritoso. Più di una volta viene ribadito che è un giocherellone, che gli piace scherzare ed è esilarante, ma non c'è in tutto il libro uno solo dei suoi comportamenti, una sola delle sue battute, che mostri traccia di un qualche spirito. Sembra anche bipolare: alterna gentilezza affettata a scatti di follia del tutto immotivati.
Due persone che in un certo senso si sono trovate, e si perdonano reciprocamente il loro fare schifo.
Sono buone anche le descrizioni fisiche e, soprattutto, la resa delle emozioni, anche quelle dei personaggi minori.

Lo stile, come avevo già notato in Stupro, è molto diretto, va subito al sodo senza infiorettamenti inutili. La mia edizione presenta comunque diversi refusi, sin dalle prime pagine.
Nel complesso il libro mi è parso abbastanza vuoto e stupido, fin oltre la metà non si capisce dove voglia andare a parare. Ma neanche dopo, a dire il vero. Quindi no, non lo consiglierei.

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SCHEGGE DI VETRO – Patricia Highsmith

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Titolo: Schegge di vetro
Autore: Patricia Highsmith
Traduttore: E. Groppali
Copertina flessibile: 207 pagine
Editore: Bompiani (26 febbraio 2003)
Prezzo online: 6,71 €

Voto: ***

Schegge di vetro di Patricia Highsmith è una raccolta di racconti che io, essendo rimbambita, ho iniziato a leggere convinta che fosse un romanzo. Il primo "capitolo" mi ha subito colpito, e ho pensato che la lettura sarebbe stata di sicuro interessante. Il secondo però non c'entrava nulla col primo. E il terzo non c'entrava nulla con nessuno dei due precedenti, per cui mi sono posta qualche domanda. E ho capito, finalmente, che erano racconti autoconclusivi. Meglio tardi che mai, si dice.
Demenza a parte, comunque, i racconti sono interessanti e abbastanza inquietanti, macabri a volte, eppure raccontati con nonchalance, come se si trattasse di fatti normali. È inutile che io vi racconti tutte le trame, ma posso dirvi che vengono toccati diversi temi, tra cui il coraggio e la viltà, il suicidio, la paura e, in particolare, in ognuno dei racconti sembra esserci almeno uno psicopatico. Tranne forse nell'ultimo, che ho trovato un po' diverso dagli altri.

I personaggi sono dunque la parte migliore del libro. Questo perché, appunto, nella loro psicopatia (per essere politicamente corretta dovrei forse parlare di disturbo antisociale di personalità) sono resi davvero bene. Così bene che quasi non te ne accorgi, che sono psicopatici: ti poni solo delle domande semplici, per esempio "perché questa non non si impegna per impedire al figlio di mettersi in situazioni pericolose?", "perché non sembra addolorata dall'accaduto?" e così via. Hanno emozioni troppo blande rispetto agli eventi, sembrano non avere personalità, ma si percepisce che invece ce l'hanno, solo che è disturbata. Trattandosi di racconti, i personaggi non sono indagati molto in profondità, eppure la Highsmith è riuscita a caratterizzarli molto bene nel poco spazio a disposizione, attraverso i loro pensieri più che comportamenti.

Anche lo stile è notevole. Sin dalle prime pagine ho trovato il libro ben scritto, con un linguaggio secco e diretto ma curato, scorrevole quanto basta per tenere viva l'attenzione. A tratti è confuso e delirante, non si capisce quasi cosa è reale e cosa no, ma questo è un altro punto di merito, visti il tipo di racconti e i personaggi. Anche le descrizioni sono buone.
Era da tempo che volevo leggere qualcosa di Patricia Highsmith, però avrei preferito un romanzo. Cercherò di farlo al più presto ma nel frattempo, malgrado io non ami i racconti, sappiate che questi non mi hanno deluso.

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L'ASSASSINIO DI ROGER ACKROYD – Agatha Christie

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Titolo: L'assassinio di Roger Ackroyd
Autore: Agatha Christie
Traduttore: G. M. Griffini
Copertina flessibile: 236 pagine
Editore: Mondadori (19 giugno 2017)
Prezzo online: 10,20 €

Voto: ***

Nonostante la sua fama, io ho scoperto Agatha Christie da relativamente poco. Dopo aver letto Assassinio sull'Orient Express ho deciso di leggere tutti i libri con Poirot.
Anche se i dettagli cambiano, trame e personaggi nei libri della Christie sono più o meno sempre quelli. Ci sono un contesto, un delitto, un investigatore (in questo caso Poirot, appunto) che studia il caso e alla fine giunge a una soluzione grazie alla sua intelligenza superiore.
Gli intrecci sono elaborati, tanto che io faccio sempre uno schemino con tutti i personaggi, e a volte disegno gli ambienti, altrimenti mi perdo. La prima parte di ogni romanzo è infatti abbastanza confusionaria, perché vengono presentati tutti i personaggi, esposti gli eventi salienti e Poirot si mette a studiare piccoli indizi apparentemente insignificanti. Il bello viene dopo.
A fare la differenza, tra un romanzo e l'altro, è il finale. Ecco perché ero curiosa di leggere questo libro: ne avevo più volte sentito parlare come di un capolavoro, con un finale sorprendente e così via. E devo dire che da questo punto di vista mi ha deluso perché, finora, è l'unico libro di cui sono riuscita a identificare l'assassino. In questo senso, invece, il migliore è stato Poirot a Styles Court. Quello sì che mi ha sorpreso.

Poirot parla sempre delle sue "celluline grigie" e delle sue "piccole idee"; è un personaggio molto presuntuoso e pieno di sé, ma riesce ad esserlo in modo simpatico.
Degli altri personaggi, invece, non saprei cosa raccontarvi perché sono sì ben descritti, ma caratterizzati a stento. È il genere letterario che lo impone: a chi importa della psicologia dei personaggi? Ciò che conta è la dinamica dei fatti, le deduzioni dell'investigatore.
Il solito collaboratore di Poirot, Hastings, è in questo romanzo assente. Al suo posto troviamo il dottor Sheppard, che è anche voce narrante e sembra un tantino più sveglio di Hastings.
Infine ci sono gli altri investigatori che, paragonati a Poirot, sembrano sempre degli imbecilli – come succede anche con Sherlock Holmes, che è anche più presuntuoso.

Lo stile di Agatha Christie è sempre molto piacevole, scorrevolissimo e adatto al genere, perché non annoia e rende molto semplice arrivare alla fine senza neanche accorgersene. Tuttavia voglio precisare che ho trovato L'assassinio di Roger Ackroyd un po' più lento rispetto ad altri suoi libri. Man mano che Poirot comincia a far luce sui misteri diventa più interessante e incalzante, ma si tratta solo dell'ultima parte del romanzo. Insomma, non è uno dei miei preferiti ma vale comunque la pena di leggerlo.

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LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA – Stefan Zweig

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Titolo: Lettera di una sconosciuta
Autore: Stefan Zweig
Traduttore: S. Montis
Copertina rigida: 151 pagine (con altre due opere)
Editore: Newton Compton (9 giugno 2016)
Prezzo: 5,01 €

Voto: ****

Come ho detto ormai tante volte io amo visceralmente Stefan Zweig, e Lettera di una sconosciuta è l'unica, tra le sue opere che ho letto, a parlare d'amore. L'amore romantico, quello che annulla tutto il resto. Non si tratta però di una banale storiella d'amore e, anzi, devo dire che forse questa storia è anche più particolare rispetto alle altre di Zweig. La potenza dell'autore, infatti, non sta nelle trame ma nell'indagine dei personaggi e nello stile, ma qui anche la trama – romantica, struggente, tristissima – fa la sua bella figura.
Uno scrittore ricco e di successo riceve per l'appunto, nel giorno del suo compleanno, la lettera di una sconosciuta, tramite la quale scoprirà delle cose interessanti non solo sulla donna che l'ha scritta – di cui potrebbe anche non fregargli niente, visto che è una sconosciuta – ma anche su se stesso.
Come ho detto è una storia d'amore, condita di segreti, dolori, morte e fiori bianchi.

Come al solito i personaggi di Zweig sono perfetti. In questo caso sono praticamente solo due, appunto lo scrittore destinatario della lettera e la tizia che l'ha scritta.
Lo scrittore, nel momento in cui legge la lettera, è più che altro confuso, non mostra molto di sé; tuttavia scopriamo che tipo è attraverso la lettera. È dunque raccontato e caratterizzato dal punto di vista della donna stessa.
Lei è invece caratterizzata attraverso quello che scrive e, soprattutto, come lo scrive. Le sue emozioni sono palpabili, Zweig ce le mette davvero in mano.
A dire il vero, in Lettera di una sconosciuta la caratterizzazione dei personaggi non ha un ruolo così importante, eppure si capisce molto di entrambi.

Anche lo stile è perfetto, sempre con quel suo ritmo incalzante, la sapienza con cui Zweig mette una dietro l'altra parole che si incastrano alla perfezione e che si fanno divorare con avidità. E ancora una volta l'autore si dimostra in grado, da uomo, di interpretare il sentire di una donna. Così come è in grado di trasmettere le sensazioni della protagonista, le sue percezioni degli ambienti.
Insomma Zweig non delude mai, e io credo proprio che leggerò tutti i suoi romanzi. Per ora comunque siete salvi, perché non ne ho altri per le mani.

Lettera di una sconosciuta, in una raccolta che comprende anche Novella degli scacchi e Paura, è uno dei libri più belli che possiate acquistare e lo trovate qui: http://amzn.to/2ounoYB

THE HATE U GIVE – Angie Thomas

the hate u give angie thomas

Titolo: The Hate U Give
Autore: Angie Thomas
Traduttore: S. Bortolussi
Copertina flessibile: 416 pagine
Editore: GiuntiEditore (30 agosto 2017)
Prezzo online: 11,9 €

Voto: **

TheHate U Give di AngieThomas è l'ennesima prova che dovrei smettere di leggere YA. È un genere che non mi dispiace, ma mi rendo conto sempre di più che i romanzi validi sono davvero pochi. Ho scelto di leggere questo per i temi importanti che affronta, ma sono rimasta delusa.
Starr è una sedicenne di colore, che vive in un quartiere di colore organizzato in gang e gruppi sociali particolari che lottano per la sopravvivenza. Frequenta però una buona scuola "per bianchi" e ha sviluppato quasi una doppia identità per soddisfare le aspettative di tutti. Poi arriva la sera in cui assiste all'omicidio del suo amico Khalil per mano di un poliziotto bianco, praticamente immotivato, e l'equilibrio che si è sforzata di creare e mantenere crolla. Starr è infatti l'unica testimone, e deve decidere qual è la cosa giusta da fare, e da che parte stare.
In teoria, quindi, questo romanzo dovrebbe avere uno spessore diverso da quello dei soliti romanzetti per ragazzini, ma purtroppo non ce l'ha. Identità, pregiudizi razziali, discriminazione, sono temi molto molto importanti, ma qui non vengono trattati con la profondità dovuta. È un romanzo tragico, rappresenta una realtà diversa da quella degli altri YA, eppure non fa abbastanza.

Neanche i personaggi mi sono sembrati granché. Starr dovrebbe avere una seria crisi di identità (o di nervi, almeno), viste le cose a cui ha assistito e che le sono accadute nel corso della sua vita, invece sembra non averla neanche, un'identità. Non è né carne né pesce. È troppo infantile, se la prende con i suoi amici per cose stupidissime e per niente offensive, se la tira col ragazzo con cui sta da più di un anno... Manco negli anni novanta gli adolescenti erano così stupidi e permalosi, soprattutto non quelli che avevano vite così tragiche.
Le descrizioni fisiche, almeno, sono molto attente; malgrado ciò, ho avuto difficoltà a immaginare i personaggi.

Infine, lo stile è semplice, e nonostante questo l'ho percepito pesante, noioso, per niente coinvolgente. Ci sono dei picchi di emotività a volte anche improvvisi, ammetto che mi sono commossa più di una volta "a sorpresa", ma sono appunto solo dei picchi sporadici in un ECG piatto.
Considerata anche la mia età, mi sa che i romanzi YA non fanno più per me (anche se ce n'è qualcuno che continuo ad amare). Posso consigliare questo libro solo a degli adolescenti, ma anche a loro direi che, comunque, ce ne sono di migliori.

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