Voto: 4/5
La storia è quella
di un detenuto o, meglio, di più detenuti o, meglio ancora, di una
detenzione. Ma non racconta tanto le vicende, quando le persone. Per
la precisione è Red, prigioniero storico del carcere di Shawshank, a
raccontare Andy Dufresne, altro particolarissimo detenuto – e
indirettamente sé stesso, come ammette verso la fine del racconto.
In Andy Dufresne c'è
un mondo intero, o forse più di uno, tanti da farlo sembrare assurdo
a tratti. È come se dentro di lui ci fosse troppo, e leggendo
ci sentiamo delle nullità, perché noi comuni mortali non siamo così
tanto.
Il tema fondamentale
del racconto è quello della libertà, associato a quello dell'abuso
di potere. Le parti che mi hanno fatto più male sono quelle in cui
l'autore mette in risalto questo legame indissolubile tra una cosa e
l'altra: abuso di potere significa inevitabilmente privare l'altro
della sua personalità, della sua vita, della sua libertà. Che in
prigione è già alquanto limitata, direi: è praticamente convertita
in schiavitù. Nonostante ciò, la libertà permea tutto il racconto,
tanto che gli altri temi sembrano quasi accessori di quell'unica
protagonista indiscussa: il desiderio (di libertà), la speranza
(nella libertà), la pazienza (di aspettarla), la perseveranza (nel
costruirla), ma anche la rassegnazione alla propria condizione e
l'evasione, non tanto fisica quanto mentale, perché quella del
pensiero è davvero l'unica libertà che rimane. Infine, la libertà
vera, quella che tutti noi potremmo avere se solo riuscissimo a
capire come gestirla, che cosa farne, se ci mettessimo in testa che
possiamo fare qualsiasi cosa. Invece lo ignoriamo perché forse, in
un certo senso, è più comodo adeguarci e lamentarci.
Personalmente ho
avuto la sensazione che qualcuno mi sbattesse in faccia una verità
che non riesco ad assecondare, e mi sono sentita una codarda.
I personaggi sono
tutti dipinti in modo abbastanza preciso, ma Andy Dufresne è
letteralmente l'argomento del racconto e, in quanto tale, unico
personaggio analizzato, indagato, scandagliato fino alle più
profonde rughe della sua anima. Ripeto: a tratti l'ho trovato
assurdo, nel senso che ho serie difficoltà a credere che nervi così
saldi, una forza di volontà e una perseveranza simili possano
esistere in esseri umani in carne e ossa. Ma tutto sommato risulta
verosimile, e alla fine è questo che conta.
Personaggio molto
importante, almeno nella mia visione delle cose, è il generico "uomo
istituzionalizzato", anche poco citato (un paio di volte in
totale, se non sbaglio). Anche questo mi ha fatto sentire in colpa,
per tornare al discorso di prima. Perché un po' tutti siamo, se non
istituzionalizzati, almeno troppo "socializzati", e la cosa
peggiore è che ci crediamo liberi.
In genere apprezzo
molto lo stile di King, a parte il suo vizio di spezzettare le frasi
con parentesi fuori luogo (che qui non si manifesta, comunque), ma in
questo caso l'ho trovato particolarmente soporifero. In ogni caso, di
sicuro il racconto non è scritto male, anzi, è chiaro e dettagliato
quanto basta. Purché non ci si distragga quando compaiono nuovi
nomi.
Il racconto fa parte
dell'antologia Stagioni Diverse
e ne è stato tratto il film Le ali della libertà.
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