RITA HAYWORTH E LA REDENZIONE DI SHAWSHANK - Stephen King

Voto: 4/5

La storia è quella di un detenuto o, meglio, di più detenuti o, meglio ancora, di una detenzione. Ma non racconta tanto le vicende, quando le persone. Per la precisione è Red, prigioniero storico del carcere di Shawshank, a raccontare Andy Dufresne, altro particolarissimo detenuto – e indirettamente sé stesso, come ammette verso la fine del racconto.
In Andy Dufresne c'è un mondo intero, o forse più di uno, tanti da farlo sembrare assurdo a tratti. È come se dentro di lui ci fosse troppo, e leggendo ci sentiamo delle nullità, perché noi comuni mortali non siamo così tanto.
Il tema fondamentale del racconto è quello della libertà, associato a quello dell'abuso di potere. Le parti che mi hanno fatto più male sono quelle in cui l'autore mette in risalto questo legame indissolubile tra una cosa e l'altra: abuso di potere significa inevitabilmente privare l'altro della sua personalità, della sua vita, della sua libertà. Che in prigione è già alquanto limitata, direi: è praticamente convertita in schiavitù. Nonostante ciò, la libertà permea tutto il racconto, tanto che gli altri temi sembrano quasi accessori di quell'unica protagonista indiscussa: il desiderio (di libertà), la speranza (nella libertà), la pazienza (di aspettarla), la perseveranza (nel costruirla), ma anche la rassegnazione alla propria condizione e l'evasione, non tanto fisica quanto mentale, perché quella del pensiero è davvero l'unica libertà che rimane. Infine, la libertà vera, quella che tutti noi potremmo avere se solo riuscissimo a capire come gestirla, che cosa farne, se ci mettessimo in testa che possiamo fare qualsiasi cosa. Invece lo ignoriamo perché forse, in un certo senso, è più comodo adeguarci e lamentarci.
Personalmente ho avuto la sensazione che qualcuno mi sbattesse in faccia una verità che non riesco ad assecondare, e mi sono sentita una codarda.
I personaggi sono tutti dipinti in modo abbastanza preciso, ma Andy Dufresne è letteralmente l'argomento del racconto e, in quanto tale, unico personaggio analizzato, indagato, scandagliato fino alle più profonde rughe della sua anima. Ripeto: a tratti l'ho trovato assurdo, nel senso che ho serie difficoltà a credere che nervi così saldi, una forza di volontà e una perseveranza simili possano esistere in esseri umani in carne e ossa. Ma tutto sommato risulta verosimile, e alla fine è questo che conta.
Personaggio molto importante, almeno nella mia visione delle cose, è il generico "uomo istituzionalizzato", anche poco citato (un paio di volte in totale, se non sbaglio). Anche questo mi ha fatto sentire in colpa, per tornare al discorso di prima. Perché un po' tutti siamo, se non istituzionalizzati, almeno troppo "socializzati", e la cosa peggiore è che ci crediamo liberi.
In genere apprezzo molto lo stile di King, a parte il suo vizio di spezzettare le frasi con parentesi fuori luogo (che qui non si manifesta, comunque), ma in questo caso l'ho trovato particolarmente soporifero. In ogni caso, di sicuro il racconto non è scritto male, anzi, è chiaro e dettagliato quanto basta. Purché non ci si distragga quando compaiono nuovi nomi.


Il racconto fa parte dell'antologia Stagioni Diverse e ne è stato tratto il film Le ali della libertà.

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