Voto: 4/5
Due psicopatici – il tredicenne Todd Bowden e
il vecchio Kurt Dussander, alias Arthur Denker – stringono una
strana amicizia, se così possiamo chiamarla: si tratta in realtà di
un rapporto basato su un interesse comune, peraltro inquietante, ma
soprattutto su ricatti e giochi di potere, su azioni gradualmente
sempre più terribili che, per fortuna, almeno si ritorcono contro i
colpevoli. Anche in questo secondo racconto di Stagioni
diverse, quindi, torna
prepotentemente il tema della libertà. Anche se il punto è più che
altro la sua assenza.
Il "grande
interesse" osannato da un'insegnante di Todd è la molla che dà
avvio alla vicenda, ma nel caso di Todd si tratta di un interesse
inquietante e morboso per qualcosa che dovrebbe causare solo orrore.
Con "grande interesse" io ho letto questa storia, ma
ammetto che quello di un unico, grande interesse che ingloba la
nostra vita e la nostra personalità in un certo senso mi pare un
mito un po' riduttivo e troppo idealista.
Ci sono poi la
violenza – a volte completamente gratuita, quasi fuori luogo –,
la tortura, la fragilità della psiche umana. Psiche che vediamo
infatti sgretolarsi nel corso dell'evoluzione (o involuzione, dal mio
punto di vista) di entrambi i protagonisti.
Il racconto parte
subito con una descrizione di Todd Bowden, quella di un comune
tredicenne che, tuttavia, per qualche motivo mi è risultato subito
antipatico, all'inizio senza un vero motivo. King è stato bravo a
caratterizzarlo attraverso piccole cose che sin dall'inizio mi hanno
fatto venire voglia di prenderlo a pugni sui denti.
A poco a poco – ma
neanche tanto lentamente –, da antipatico Todd diventa proprio
insopportabile, con quel suo interesse morboso, quel modo di fare
viscido, borioso e insistente, che diventa quasi un disturbo
ossessivo compulsivo, e quel sorriso inopportuno da pazzo. E tale
rimane fino all'ultimo rigo del racconto. Letteralmente fino
all'ultimo rigo.
Dussander,
invece, nonostante si scoprano presto particolari disgustosi del suo
passato, all'inizio sembra quasi normale, o almeno non mi ha destato
la stessa antipatia del ragazzo. Sembra quasi una vittima, fino a un
certo punto. Col progredire della storia, però, cominciano a venire
(di nuovo) fuori i lati di lui che lo rendono l'essere disgustoso che
è, e alla fine rimane il dubbio: quale dei due protagonisti è il
peggiore? Io, se non fosse ancora abbastanza chiaro, li ho trovati
entrambi disgustosi, orridi, insopportabili. Mi hanno ispirato solo
odio e la stessa violenza che loro stessi usano, e nonostante ciò
sono "bei" personaggi, proprio perché sono caratterizzati
talmente bene da suscitare sensazioni così forti, seppur spiacevoli.
Mi hanno fatto paura, come non è riuscito a fare Pennywise, per fare
un esempio a caso. E la cosa peggiore è che mi hanno fatto paura
nella loro umanità, come potrebbe farmi paura qualsiasi essere
umano, per il semplice fatto che quello che c'è nelle persone è
insondabile. Lo stesso King lo dice nel racconto: un essere
umano non può mai sapere tutto quello che c'è nel cuore di un altro
essere umano. Persone così sono
in mezzo a noi e nemmeno lo sappiamo: è questo che fa paura.
Infine, un
personaggio minore ma degno di nota, in quanto secondo me poco
credibile, è quello di Ed French, responsabile dell'orientamento
nella scuola di Todd. Il suo comportamento non mi è sembrato
verosimile; non so come funzionino le cose altrove, ma in Italia
troverei inopportuno un responsabile dell'orientamento che, a
distanza di anni, si vada a immischiare nelle storie di un ex alunno.
A differenza che nel
primo racconto, qui lo stile di King è il solito, anche con la
solita abitudine delle parentesi fastidiose, soprattutto nella parte
finale. A parte quello, è coinvolgente, scorrevole e chiaro, come
sempre.
La lettura, in
generale, mi ha alquanto disturbato. Di King ho già letto diversi
romanzi e racconti, ma nessuno prima d'ora mi aveva fatto questo
effetto. Trovo che a un certo punto si sia dilungato fin troppo,
credo che il racconto potesse benissimo essere un po' più breve e
trasmettere comunque perfettamente il messaggio. Il finale, invece, è
improvvisamente sbrigativo, ma forse l'intenzione dell'autore era
proprio quella di non renderlo troppo esplicito.
Una
curiosità carina è che nella storia si accenna a Andy Dufresne, un
piccolo particolare che lega tra di loro i primi due racconti
dell'antologia. Immagino ce ne siano anche negli altri due, che non
ho ancora letto. Lo scoprirò presto.
Come
già detto, il racconto fa parte dell'antologia Stagioni
diverse, e anche da questo è
stato tratto un film, L'allievo.
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