L'ARMINUTA – Donatella Di Pietrantonio

Voto: 3/5

Ragazzina tredicenne viene restituita alla famiglia d'origine, cui era stata sottratta da piccolissima, e deve vedersela con genitori e fratelli che non ha mai conosciuto. Com'è ovvio, quindi, oggetto della narrazione sono le dinamiche familiari, la maternità, l'amore fraterno (se vogliamo), ma anche l'adolescenza, il cambiamento, il sesso, la diversità, la non appartenenza, il rifiuto. Tutte cose che, a mio parere, vengono però raccontate o descritte in maniera piuttosto piatta e non molto originale. So che in molti hanno amato questo libro, ma io non l'ho trovato diverso da tanti altri. In più non ha un vero finale, mi ha lasciato confusa e con un senso di incompiutezza.

Nessun personaggio è particolarmente simpatico e, anzi, anche quelli che – nelle intenzioni dell'autrice – dovrebbero esserlo a me non sono piaciuti. La protagonista, la cosiddetta arminuta, "la ritornata", non ha una personalità ben definita. Non ha reazioni, sopporta senza fare nulla, ma si tratta pur sempre di un'adolescente in crisi, non solo a causa della sua età ma per motivi ben più seri, quindi è più che legittimo che resti nella sua incerta vaghezza (anche se alla fine vorrebbe far credere di no).
Il resto della sua famiglia, invece, la personalità dovrebbe averla, ma si tratta di personalità stereotipate, quelle che troviamo in qualsiasi romanzo dall'ambientazione simile. Sono tutti induriti dalle condizioni di vita difficili, pieni di disprezzo e di orgoglio deviante qb, e poi c'è il solito personaggio che, nella sua ignoranza e nella corazza con cui si difende da quell'ambiente, dovrebbe risultare simpatico e ispirare tenerezza. In questo caso si tratta della sorellina Adriana.
Quello che mi è rimasto è la solita riflessione su quanto le persone siano squallide (il maestro assoluto nel rendere lo schifo dell'umanità è Franzen, e qui non c'è nulla di lontanamente paragonabile), anche quando cercano di riscattarsi, solo per placare il senso di colpa.

Il problema fondamentale degli italiani, per me, resta sempre lo stile. Forse non riesco a rimanere obiettiva, ma è più forte di me. A parte qualche classico – pure raro – non riesco davvero ad apprezzare nessuno scrittore italiano, non so perché. Sono diversi tra loro, ma tutti cercano di dimostrare quanto sono bravi con le parole, accostandole in modi strani e presumibilmente poetici ed evocativi, ma l'effetto finale non è quello. Io vedo solo lo sforzo di colpire, che però non colpisce. Dovrebbe emozionare ma è completamente sterile, a tratti pure fastidioso. Degli stranieri leggo praticamente solo traduzioni, e trovo che i traduttori italiani scrivano molto meglio degli scrittori italiani ufficiali. Di Donatella Di Pietrantonio, purtroppo, non posso dire nulla di diverso.

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