IL VIOLINO NERO – Maxence Fermine

Il violino nero - Maxence Fermine
Titolo: Il violino nero
Autore: Maxence Fermine
Traduttore: S. C. Perroni
Copertina flessibile: 143 pagine
Editore: Bompiani (2003)
Prezzo: 11 €

Il violino nero è il libro più bello che io abbia letto di Maxence Fermine, anche se tutti continuano a lodare solo Neve, ed è anche uno dei miei preferiti in assoluto. È un libriccino piccolo, si legge in pochissimo tempo, ma è pura poesia e musica, con un che di vagamente inquietante che lo rende ancora più bello.
Il tema fondamentale è la musica. I protagonisti Johannes ed Erasmus sono rispettivamente un violinista geniale e un liutaio che è stato allievo di Francesco Stradivari. Tutti i loro discorsi vertono sulla musica, e c'è una voce angelica che entrambi – separatamente – hanno sentito in momenti significativi della propria vita.
E poi ci sono guerra, sogni e aspirazioni, l'importanza di vivere la vita prima di raccontarla tramite l'arte.

I personaggi sono... non so bene come dirlo. L'impressione che ho con i libri di Fermine è che non si tratti realmente di persone, ma di simboli, di allegorie. Non hanno un aspetto né una personalità ben definiti, anche se molti di loro (non solo in questo libro) vengono descritti come diafani, delicati, spesso con occhi e capelli scuri. Più che altro sono caratterizzati dalle loro passioni; è importante la forza con cui desiderano e sentono, non tanto il loro modo di essere o dei comportamenti specifici. Hanno anche tutti lo stesso modo di parlare, che è poi quello dell'autore che parla attraverso loro. Insomma, più che raccontare le vicende dei personaggi, sembra che Fermine li usi per veicolare dei messaggi.

Infine lo stile. Come ho detto il libro è poesia pura, e in generale Maxence Fermine ha appunto un modo di scrivere molto poetico, ma in modo semplicissimo e scorrevole, con frasi brevi e concise, fatte per raggiungere chiunque.
I dialoghi tra i personaggi sembrano in realtà riflessioni di una stessa persona, come se ognuno di loro incarnasse una parte dello stesso individuo, e le descrizioni sono quasi assenti in quanto non necessarie. È uno stile molto più evocativo che descrittivo.
È un genere che può piacere o non piacere, e io in generale non lo amo. Ma per qualche motivo questo libro in particolare mi è rimasto nel cuore, l'ho letto sette volte! Grazie al formato e alla copertina è anche esteticamente bello come oggetto (lo stesso vale per Neve). Di conseguenza non posso che consigliarlo.

LA TREDICESIMA STORIA – Diane Setterfield

La tredicesima storia - Diane Setterfield
Titolo: La tredicesima storia
Autore: Diane Setterfield
Traduttore: G. Granato
Copertina flessibile: 446 pagine
Editore: Mondadori (2018)
Prezzo: 11,87 €

La tredicesima storia di Diane Setterfield è un libro potenzialmente molto bello, ma che non mi ha convinta del tutto. È un romanzo gotico in cui passato e presente si intrecciano, un po' sullo stile di Kate Morton (qui le mie recensioni), ma mi è parso che mancasse qualcosa.
Ecco i temi:
  • Libri, letteratura e lettura. La parte iniziale del romanzo mi ha colpito per il suo bellissimo modo di parlare dei libri e della lettura come di cose preziose e significative, vissute in maniera personale, tutti concetti in cui qualsiasi lettore potrebbe rispecchiarsi. Le storie fittizie si contrappongono alla verità, ma forse, invece, ne sono solo delle metafore.
  • Malattia mentale, pregiudizi e discriminazione. Nella famiglia Angelfield, protagonista della storia, sembra che tutti abbiano qualche problema psichiatrico, e ovviamente ne pagano le conseguenze.
  • Psicologia (in particolare dei gemelli), educazione e socializzazione. Adeline ed Emmeline sono gemelle, e questo le condiziona prepotentemente, e anche Margaret aveva una gemella, che le manca ogni giorno anche se non l'ha mai conosciuta.
  • Famiglia, per l'appunto. La famiglia Angelfield non è l'unica presentata nel libro e tutte, più o meno, sono disfunzionali. Del resto tutti i romanzi – come il mondo – sono pieni di famiglie disfunzionali, altrimenti non ci sarebbero storie.
  • Morte ed elaborazione del lutto. Elaborazione disfunzionale come tutto il resto, ça va sans dire.

I personaggi non mi hanno entusiasmato. Da un punto di vista fisico le descrizioni sono ottime: sono molto chiari i gesti, gli atteggiamenti, i modi di fare, di camminare, di parlare, di ridere, il tono di voce di ogni personaggio, e questo è un grande merito. Per il resto sono tutti o solo buoni o solo cattivi e in più, come ho detto, mentalmente disturbati. Forse per questo non hanno bisogno di vere personalità. Hanno una loro aura esterna, ma non sono riuscita a vedere dentro di loro, a percepire le loro emozioni e i loro stati d'animo.
In particolare Margaret, colei che scopre e dipana tutta la storia, non mi è piaciuta. E non mi è piaciuto il processo d'indagine: ha illuminazioni improvvise e poco credibili, che svelano i misteri senza spiegarli davvero, e il lettore deve accontentarsi di prenderne atto solo perché a lei si è accesa la lampadina dal nulla, senza veri indizi.

Lo stile invece è notevole. La scrittura è molto scorrevole e coinvolgente ma anche ricca ed elegante. Le descrizioni sono bellissime, minuziose, piene di dettagli e vivide, sembra davvero di assistere alle scene. Particolarmente notevoli quelle del degrado di casa Angelfield.
Anche i dialoghi sono buoni, credibili e non scontati. Tuttavia, man mano che il racconto procede, l'ho trovato sempre più tendente al delirio (da parte di Margaret, non di Vida Winter). Inoltre, secondo me manca di pathos: le emozioni non mi sono arrivate, se non, alla fine, quelle di Aurelius, che però è un personaggio secondario. Ho trovato alcune cose del tutto superflue, in particolare l'ultimo capitolo, completamente insensato, e mi è rimasto un senso di vaghezza.
Come ho detto all'inizio, trovo che La tredicesima storia sia un romanzo con un bel potenziale, all'inizio molto promettente, ma poi qualcosa si perde. Quindi lo consiglierei solo per svago; se vi piace il genere, mi butterei decisamente su altri autori.

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I TRE MOSCHETTIERI – Alexandre Dumas

I tre moschettieri - Alexandre Dumas
Titolo: I tre moschettieri
Autore: Alexandre Dumas
Traduttore: L. Premi
Copertina rigida: 951 pagine (due romanzi)
Editore: Newton Compton Editori (2016)
Prezzo: 9,40 €

Ho letto I tre moschettieri di Alexandre Dumas perché, per qualche motivo, mi era venuto il pallino, e al contempo temevo che non fosse troppo il mio genere e che quindi non mi sarebbe piaciuto. Invece l'ho adorato! Nonostante la mole, è uno dei libri più avvincenti e più scorrevoli che abbia mai letto, e per leggerlo ho impiegato lo stesso tempo che impiego per libri molto più brevi.
I temi potete immaginarli anche senza aver letto il libro:
  • Valore, onore e coraggio
  • Amore, anche se è quello classico e stupido fondato sull'aspetto delle persone
  • Amicizia e solidarietà ("Tutti per uno" eccetera)
  • Politica: realisti vs cardinalisti, legge vs religione
  • Morale: giustizia, coscienza, vendetta
  • Intrighi e segreti di corte che coinvolgono: matrimoni, adultèri, tradimenti di vario genere, ovviamente l'etichetta e le apparenze

I personaggi sono ottimi, come già quelli del Conte di Montecristo. Le descrizioni fisiche sono accuratissime e la caratterizzazione è perfetta: ogni personaggio ha i suoi atteggiamenti caratteristici sin dalla sua prima apparizione. Anzi, a rendere il tutto più interessante è proprio la diversità tra i personaggi, a volte una vera e propria contrapposizione (e complementarità) di caratteri, in particolare quelli di Porthos e Aramis. Il mio preferito però è Athos: riservato, taciturno, misantropo, infelice e tormentato, sul depresso andante. Se non fosse anche un alcolizzato, magari...
Ho trovato invece d'Artagnan alquanto antipatico. È la classica testa calda che sprizza furbizia, ottiene riconoscimenti senza fare praticamente nulla ed è anche un falso manipolatore, perfino nei confronti dei suoi amici, che invece mostrano lealtà reciproca e autentica.
Infine, Milady è un personaggio eccezionale, anche se naturalmente la si vorrebbe vedere bruciare tra le fiamme dell'inferno per quanto è vipera e subdola.

Dumas ha uno stile che cattura. Ha scritto dei romanzi immensi ma la lunghezza non pesa per niente, al contrario: a me è dispiaciuto finire I tre moschettieri e adesso mi sto costringendo a leggere qualcos'altro ma, a dire il vero, non vedo l'ora di leggere Vent'anni dopo. Per come scrive e per i suoi personaggi, Dumas finisce dritto tra i miei autori preferiti in assoluto, e in più mi sta facendo appassionare ai romanzi storici.
Tutte le descrizioni sono ottime e molto dettagliate, i dialoghi suonano spesso formali e affettati, con giri di parole anche per esprimere le emozioni più istintive. Sono comunque credibili, in quanto perfettamente adeguati al contesto, e sono frequenti e spesso lunghi: rendono il flusso più diretto e rapido, contribuendo così allo scorrere della trama, e palesano le emozioni e i caratteri dei personaggi.
Ho apprezzato l'edizione perché, nonostante il volume, è abbastanza leggera e facile da tenere in mano, ma ho anche trovato molti refusi.
I tre moschettieri è un libro che consiglierei a tutti, penso sarebbe in grado di coinvolgere davvero chiunque. È la lettura perfetta per questo periodo in cui siamo costretti a casa.

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L'INVENTORE DI SOGNI – Ian McEwan

L'inventore di sogni - Ian McEwan
Titolo: L'inventore di sogni
Autore: Ian McEwan
Traduttore: S. Basso
Copertina flessibile: 105 pagine
Editore: Einaudi (2015)
Prezzo: 8,50 €

L'inventore di sogni di Ian McEwan è, per farla breve, un libro di racconti per bambini. E dovrebbe essere valutato da un bambino, non da me.
Ammetto che le prime pagine mi hanno colpito: l'autore dice delle cose molto intelligenti sui bambini e sugli adulti, e inoltre Peter, il protagonista undicenne, viene presentato come un bambino introverso e mal compreso dagli adulti. Ma poi ho continuato a leggere e... no. No. È solo un normalissimo bambino che fantastica su qualsiasi cosa, e le sue fantasie non sono nemmeno interessanti. Non per un adulto. O non per me, almeno.
I temi riguardano soprattutto la famiglia, l'identità e la tolleranza, infatti in più di un racconto Peter modifica la propria identità o la scambia con qualcun altro, in modo da mettersi nei suoi panni e capire così le sue ragioni (e di conseguenza apprezzarlo meglio).

Per quanto riguarda i personaggi, ho già parlato del protagonista: Peter sembra essere un bambino molto interessante e intelligente all'inizio, ma dopo la sua personalità si perde. Del resto, nemmeno gli altri hanno dei caratteri definiti, tranne forse un po' Kate, sempre nei limiti imposti dall'età. Diciamo che quantomeno si fa sentire, nonostante sia anche più piccola di Peter.
Gli altri non sono che adulti percepiti da un bambino, quindi anonimi e noiosi.

Lo stile è molto scorrevole e semplice, ma del resto non si può mica scrivere un libro del genere con un linguaggio forbito e incomprensibile. McEwan cerca di entrare nella testa di un undicenne: all'inizio del libro si dice chiaramente che gli adulti non capiscono i bambini, dopodiché lui tenta forse di dimostrare che ci riesce? Bah.
Le descrizioni sono buone, tutto sommato. Per il resto nulla da segnalare. Alla fine ho avuto la sensazione che volesse dire qualcosa tipo "che bella avventura essere un bambino!", cosa che io non condivido in nessun modo.
In definitiva è un libro che non consiglierei mai a un adulto, ma se avete dei bambini potrebbe interessarvi.

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IO PRIMA DI TE – Jojo Moyes

Io prima di te - Jojo Moyes
Titolo: Io prima di te
Autore: Jojo Moyes
Traduttore: M. C. Dallavalle
Copertina flessibile: 391 pagine
Editore: Mondadori (2016)
Prezzo: 11,05€

Io prima di te è il romanzo più conosciuto di Jojo Moyes, ha fatto parlare molto di sé (anche grazie al film) e in genere o lo si ama o lo si odia (magari senza averlo neanche letto). Io lo amo. Non solo lo amo; è un libro a cui sono affezionata perché tocca dei temi che mi stanno molto a cuore.
A dire il vero non amo parlare di questo libro, perché mi infastidisce che molta gente non sia in grado di capirlo o che, per partito preso, lo consideri solo una storia d'amore strappalacrime.
Io prima di te non parla d'amore (o almeno non di amore romantico, se non in minima parte). Ve lo dico io di cosa parla: parla di depressione. Del non sapere cosa fare della propria vita, di quella paura che paralizza, oppure, al contrario, di sapere fin troppo bene cosa si vuole e non avere (più) i mezzi per farlo.
Parla di scegliere se vivere o morire, parla di suicidio e di "egoismo": il presunto egoismo di chi decide di farla finita, perché "non pensa al dolore che dà agli altri", e il presunto altruismo di chi invece (per egoismo, NdR) vuole che gli altri vivano a tutti i costi, incurante della loro infelicità.
Parla anche di arte, l'unica cosa bella e ancora fruibile quando ti trovi in condizioni pietose, incapace di fare letteralmente qualsiasi cosa.
E poi sì, parla d'amore. Ma non è l'amore sdolcinato dei romanzi rosa, è l'amore di genitori distrutti, di sorelle disperate, è l'amore di chi ha perso qualcuno per sempre, o una parte di sé, e avrà il cuore a pezzi fino alla fine dei suoi giorni.
Per me non c'è proprio niente di banale in questo romanzo.

I personaggi, e in particolare i due protagonisti, sono fantastici, sfaccettati, umani. Le descrizioni fisiche sono abbastanza accurate e le personalità sono ben chiare sin dall'introduzione di ogni personaggio.
Io sono innamorata di Will. Per me è uno dei migliori personaggi maschili di sempre, intelligente e molto, molto sarcastico.
E anche Lou, pur essendo estroversa e allegra, mi è piaciuta perché è sfaccettata, ha emozioni autentiche e credibili, esperienze traumatiche e paura di vivere.
Inoltre ho apprezzato come l'autrice abbia reso personale il modo in cui ognuno elabora il dolore. Così come ho apprezzato l'inserimento di personaggi al limite tra l'insopportabile e il "ti tollero perché in fondo sei umano".

Perfino lo stile merita. Visto il genere si potrebbe pensare che il libro sia scritto in maniera frivola e banale, e invece è scritto molto bene. Non sarà un capolavoro, ma nonostante la scrittura sia molto fluida e capace di "intrattenere", è anche ricercata, le parole sono scelte con cura, le descrizioni sono ottime: tutto è vivido, non ci sono vuoti e il lettore può assistere alle scene in maniera completa, sia da un punto di vista emotivo che sensoriale.
I dialoghi sono anch'essi ottimi, credibili e non risultano mai costruiti, mostrano chiaramente come si sentono i personaggi quando parlano e ognuno di loro palesa la propria personalità con le sue reazioni. In particolare è attraverso i dialoghi che emerge il sarcasmo di Will, cosa che io apprezzo in modo particolare.
Non ho davvero nulla di negativo da dire su questo libro, eppure non lo consiglierei. Non lo consiglierei perché ne sono gelosa, è un libro che mi è molto caro e mi irrita terribilmente che la gente possa non apprezzarlo come merita.

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L'ISOLA DEI SEGRETI – Scarlett Thomas

Titolo: L'isola dei segreti
Autore: Scarlett Thomas
Traduttore: A. Bibbò
Copertina flessibile: 325 pagine
Editore: Newton Compton (2010)
Prezzo: 6,90 €

L'isola dei segreti di Scarlett Thomas è un romanzo un po' diverso da quello che mi aspettavo (non avevo mai letto altro dell'autrice), ma devo dire che mi è piaciuto, soprattutto grazie alla scrittura coinvolgente.
I temi sono affrontati in maniera quasi esclusivamente teorica, perché la gran parte del romanzo è costituita da dialoghi; una trama vera e propria è quasi del tutto assente, perlopiù i protagonisti – che prima di incontrarsi sull'isola non si sono mai visti – si confrontano tutto il tempo su svariate cose. In particolare: sesso, film e tv, videogiochi e virtualità.
Trovarsi insieme su un'isola deserta li costringe a una convivenza forzata, nonché all'accettazione reciproca, perciò tra i temi finiscono anche solitudine (che a volte significa libertà), amicizia, amore e simili amenità.

I personaggi sono ben fatti: si tratta di sei ragazzi, giovani menti brillanti (almeno ufficialmente), che nella prima parte vengono presentati ciascuno con un capitolo dedicato. Ognuno di loro viene quindi definito in maniera abbastanza accurata prima ancora che la vicenda vera e propria abbia inizio.
Le descrizioni fisiche sono esaurienti e le personalità sono chiare e arricchite da certi vezzi, abitudini mentali, ossessioni, dal modo di parlare e ovviamente dalle interazioni e dalle emozioni/sentimenti che ognuno di loro prova nei confronti degli altri (non solo degli altri cinque protagonisti, ma anche delle altre persone nelle loro vite). Soprattutto, ognuno di loro ha tante storie alle spalle e, proprio come per le persone vere, sono soprattutto quelle a fare dei personaggi quello che sono.

Lo stile, come ho detto, mi ha trascinato: è molto scorrevole e mi ha coinvolto nonostante ci siano delle parti alquanto noiose (dato che, appunto, si tratta di lunghi dialoghi su argomenti che non tutti possiamo trovare interessanti. Per esempio a me dei videogiochi e delle soap opera non potrebbe fregare di meno). Nonostante ciò riesce a incuriosire e si fa leggere con piacere anche se non succede granché.
Le descrizioni sono discrete ma, anch'esse, niente di eccezionale.
Direi che il libro è ben scritto ma non in maniera particolarmente elegante o ricercata e, considerati i contenuti in generale, lo definirei un libro da ombrellone.
Lo consiglio quindi a chi cerca un libro da leggere per pura evasione.

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WITH YOUR EYES – M. Grey

With your eyes - M. Grey
Titolo: With your eyes
Autore: M. Grey
Formato Kindle
Lunghezza stampa: 429
Editore: Self published (2017)
Prezzo: 3,99 €

Difficilmente leggo libri autopubblicati, ma credetemi se vi dico che With your eyes di M. Grey è un romanzo che non dimenticherò. Sarebbe inutile qualunque tentativo di spiegare cosa mi ha fatto provare e mi ha lasciato dentro, vi dico solo che ho versato secchiate di lacrime. Ma cercherò di restare obiettiva.
Temi:
  • Disabilità e pregiudizi. Shawn è cieco. Ha una vita normalissima ma è cieco, e questo pare essere un problema per gli altri più che per lui. Perché gli altri, ovviamente, sono più ciechi di lui. Potrei perfino scrivere "cecità" come tema a sé, e parlo di cecità in senso ampio: tutte le cose che diamo per scontate e di cui non ci accorgiamo, "tutta la luce che non vediamo" [cit].
  • Amore vs infatuazione. Trovo che M. Grey abbia fatto un ottimo lavoro nel mostrare la differenza tra queste due cose. Il romanzo è piuttosto lungo ma va bene così, perché è così che funziona l'amore: nasce piano piano, cresce nel tempo ed è normale, è intimità e quotidianità; non è il colpo di fulmine e l'esplosione di passione che troppi autori – compresi i classici – vorrebbero spacciare per amore. Qui i personaggi si innamorano in modo autentico, e io mi sono innamorata di loro nel frattempo.

A proposito dei personaggi, al di là dei due protagonisti mi sono sembrati tutti uguali. Sembra che tutti siano belli, abbiano lo stesso tipo di personalità e interessi simili.
In compenso Shawn e Trevor sono meravigliosi. Voler bene a Shawn è fin troppo facile, perché è un ragazzo semplice, entusiasta, sempre gentile e non c'è un solo motivo per cui dovrebbe non piacere a qualcuno. Ma Trevor è il mio preferito. È il tipo di persona che in genere non degnerei neanche di uno sguardo: sicuro di sé, di successo, determinato, elegante, amante dei piaceri e della bella vita. Ma non è per niente, per niente vuoto. Si evolve nel corso della storia, ma già dall'inizio, nonostante l'aria da fighetto (sic), mostra un'integrità, un carattere, un'autoconsapevolezza e una correttezza che me l'hanno reso simpatico. E più avanti l'avrei proprio abbracciato, tante volte. L'ho visto esplorare con grande apertura ed entusiasmo una realtà che non è la sua, anche se è la sua. Mi ha fatto riflettere su tutte le cose che non vedo o che non sono in grado di apprezzare, mi sono sentita in colpa perché non sono come lui. Ho visto la sua gentilezza contrapporsi all'atteggiamento di ragazzi "come lui", che però si sentono superiori e cercano di affossare gli altri per elevarsi. Ho percepito i sentimenti che gli scoppiano dentro e, invece di invidiarlo, ne ho gioito con lui. Gli ho voluto tanto bene.

Riguardo allo stile, la scrittura è molto piacevole e scorrevolissima, il libro è lungo ma si legge molto fluidamente. A volte l'uso dei verbi mi ha lasciata un po' perplessa (per esempio l'uso dell'indicativo dove io avrei usato il congiuntivo), e in generale ho trovato qualche refuso. Alcune battute, soprattutto nei primi dialoghi tra personaggi che si sono appena conosciuti, mi sono sembrate poco spontanee o efficaci; altri dialoghi, più avanti, li ho trovati un po' troppo melodrammatici. Insomma, non nego di aver riscontrato qualche imprecisione tecnica, ma sapete una cosa? Non me ne frega niente. Mi è piaciuto e mi ha dato così tanto che non mi importa di qualche piccolo difetto stilistico. (Comunque ci tengo a precisare che nel complesso è scritto bene, non vorrei passasse il messaggio che è sgrammaticato.)
Ho trovato molto belle alcune descrizioni, nella scelta accurata delle parole e degli aggettivi (a tal punto che è dispiaciuto anche a me che Shawn non potesse vedere certi colori, certe immagini) e, soprattutto, nella resa delle sensazioni, quelle che compensano la mancanza della vista e che noi siamo abituati a ignorare, perché ci affidiamo troppo ai nostri occhi.
I dialoghi – visto che prima li ho bistrattati – sono spesso ironici e a loro modo teneri: ho apprezzato il fatto che i protagonisti (uomini) non si vergognino dei propri sentimenti, e non per questo sembrino dei rammolliti. Sono mascolini e virili quanto basta, ma hanno, come è giusto, delle emozioni che non c'è motivo di nascondere. Ho trovato molto belli i dialoghi in cui vengono fuori le incertezze di Trevor, i suoi dubbi riguardo alla condizione di Shawn, la delicatezza con cui esplora il mondo dal punto di vista dell'altro.
La mia analisi è fin troppo (lunga ed) emotiva, ma credo sia questo il maggior merito del libro: fa pensare ed emoziona.
Non posso che consigliarlo a tutti.

LE NOTTI BIANCHE – Fëdor Dostoevskij

Le notti bianche - Fëdor Dostoevskij
Titolo: Le notti bianche
Autore: Fëdor Dostoevskij
Traduttore: L. V. Nadai
Copertina flessibile: 96 pagine
Editore: Garzanti (2016)
Prezzo: 5,95 €

Le notti bianche è il mio libro preferito tra quelli che ho letto di Fëdor Dostoevskij. A costo di dire un'eresia, io non amo molto Dostoevskij ma questo racconto, o romanzo molto breve (si legge in un'ora), lo trovo stupendo.
Il tema principale è a mio parere la solitudine. Il celebre sognatore protagonista del racconto, a 26 anni, dichiara di non parlare mai con nessuno, di non avere relazioni di nessun tipo, di non essere mai stato con una donna.
E l'amore? Potrebbe essere il rovescio della medaglia, se non fosse che invece è un'occasione per finire ancora più soli, perché non è corrisposto: ci innamoriamo di persone che amano altri, e né noi né loro abbiamo scelta in questo. Non si può scegliere chi amare.

Riguardo ai personaggi, direi che sono ben descritti, anche con pochi tratti; il loro aspetto è abbastanza chiaro. Le personalità invece, considerata anche la brevità del racconto, non sono molto approfondite. Quello che si percepisce in modo nitido è la malinconia di ognuno di loro, la semplicità delle loro povere vite.
Il sognatore tuttavia, essendo anche voce narrante, si racconta molto bene. Come ho detto, non parla praticamente con nessuno finché non incontra Nasten'ka (e con lei parla un bel po'), ma dice di conoscere un sacco di persone perché le incrocia tutti i giorni, studia le loro espressioni, vede le loro emozioni e i loro pensieri. Parla anche con le case, con gli oggetti che incontra sul suo cammino. Ha una vita interiore molto profonda e attiva.

Lo stile è molto particolare, proprio perché si tratta perlopiù di lunghi dialoghi tra il sognatore e Nasten'ka, che spesso diventano quasi monologhi in cui lui si perde in deliri e fantasie e vi trascina anche il lettore. La scrittura è bellissima, fluida e scorrevole, è come fare il morto in un fiume e lasciarsi trasportare dall'acqua. Nonostante sia appunto delirante e quasi allucinata, non risulta confusa ma solo molto coinvolgente.
Le descrizioni sono semplici ed efficaci, soprattutto è resa molto bene la miseria nelle vite dei personaggi. Sembra tutto grigio (eppure vivo), è come guardare un film in bianco e nero.
So che tutto il mondo ama Dostoevskij ma non sento mai parlare abbastanza di questo libriccino, che invece secondo me dovrebbero leggere tutti. È un piccolo gioiello e io sono felice di averlo letto (due volte) nonostante la mia antipatia per l'autore.

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ROOM – Emma Donoghue

Titolo: Room. Stanza, letto, armadio, specchio
Autore: Emma Donoghue
Traduttore: C. Spallino Rocca
Copertina flessibile: 341 pagine
Editore: Mondadori (2016)
Prezzo: 11,90 €

Room di Emma Donoghue (conosciuto in Italia anche come Stanza, letto, armadio, specchio) è la storia di Jack, un bambino di cinque anni nato e cresciuto in una stanza, quella in cui la sua Ma' vive reclusa da quando Old Nick l'ha rapita per stuprarla ripetutamente.
I temi più importanti:
  • Famiglia, o più precisamente il rapporto madre-figli. Io Jack l'avrei preso a schiaffi, ma Ma' – come tutte le madri – è pronta a tollerare i suoi lati più fastidiosi. Ma a dire il vero anche tutti gli altri personaggi mi sono sembrati fin troppo pazienti.
  • Elaborazione del trauma. Si direbbe che, una volta sfuggiti a una situazione terribile e prolungata nel tempo, tutto sia ormai facile e meraviglioso, no? No. Perché quell'esperienza te la porti dietro tutti i giorni finché campi.
  • Rapporti e convenzioni sociali. Jack conosce solo la Stanza, per cinque anni non ha mai visto altro e quindi non sa come vivere nel mondo. Ma gli si perdona tutto perché è solo un bambino traumatizzato, ovviamente. Mi chiedo come sarebbe cambiata la trama se in quella stanza ci avesse vissuto per trent'anni.
  • Prospettiva e percezioni soggettive. Jack, appunto, conosce solo la Stanza e per lui è il mondo intero, mentre quello vero non ha alcun senso. Tutti noi diamo per scontate delle cose che non lo sarebbero affatto, se non le conoscessimo.

I personaggi principali sono appunto Jack e Ma', e sono entrambi piuttosto antipatici.
Le descrizioni sono sommarie ma sufficienti, mentre le personalità non sono molto incisive. Più che altro le risposte psicologiche di entrambi i protagonisti agli eventi risultano abbastanza chiare e comprensibili, ma è molto più difficile capire chi sono (tutti). Nessun personaggio è particolarmente approfondito, a parte Jack che è anche la voce narrante, perciò conosciamo i suoi pensieri. Lui è capriccioso e insopportabile ma, come ho detto, tutti devono essere pazienti e tolleranti con lui, il che rende alcune parti del romanzo piuttosto irritanti.
Fino alla fine non ho capito perché Ma' abbia deciso di insegnare le cose a Jack in un certo modo, l'ho trovato poco sensato; così come non capisco perché spesso gli racconti cose che lui dice esplicitamente di non voler sentire, come se volesse turbarlo apposta.

Lo stile è anch'esso fastidioso, appunto perché è Jack a raccontare i fatti e lo fa parlando nel suo modo irritante, personificando gli oggetti, sbagliando sempre gli stessi verbi e così via. Non che il libro sia scritto male, anzi, è anche molto scorrevole e piacevole da leggere, ma magari farlo raccontare da un bambino di cinque anni non è proprio l'idea del secolo.
Le descrizioni in generale mi sono sembrate vaghe e poco chiare. Spesso vengono sottolineati dei particolari irrilevanti (per esempio, è proprio necessario che Jack – un bambino di cinque anni, ribadiamolo – riferisca ogni volta che gli si alza il pene?) e alcuni eventi – il piano di fuga in primis – risultano davvero poco credibili e realistici. I dialoghi sono le parti in cui Jack dà il peggio di sé, maleducato anche quando si sforza di usare le buone maniere.
Ho trovato Room un bel romanzo, ma per certi versi eccessivo. È comunque una lettura che consiglierei.

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LA PIANISTA – Elfriede Jelinek

La pianista - Elfriede Jelinek
Titolo: La pianista
Autore: Elfriede Jelinek
Traduttore: R. Sarchielli
Editore: Einaudi (2017)
Prezzo: 12 €

Elfriede Jelinek ha vinto il nobel per la letteratura nel 2004 e La pianista è il suo romanzo più famoso. Io non mi spiego nulla di tutto questo.
È scritto senz'altro molto bene, ma non riesco a trovare altri pregi.
Innanzi tutto i temi: il romanzo è incentrato sul rapporto morboso tra la protagonista Erika, insegnante quarantenne, e la madre, che la manipola e la tratta ancora come se fosse una ragazzina incapace di intendere e di volere. Oltre a ciò (e a causa di ciò), altri temi di spicco sono la repressione e la nevrosi, il sesso, l'autolesionismo, la gelosia, il potere. Quest'ultimo in particolare rimbalza da un personaggio all'altro in un gioco che non vede mai nessun vincitore, e rende alquanto confuso il personaggio di Erika.

A proposito dei personaggi, sono fondamentalmente tre: Erika, la madre e Walter Klemmer, allievo di Erika con cui lei intraprenderà una specie di strana relazione.
Le descrizioni sono ottime, molto dettagliate. Erika e la madre sono presentate in maniera molto efficace sin dalla prima scena, tuttavia si ha come l'impressione che sia chiara l'idea dei personaggi, mentre "le persone" vere e proprie restano vaghe e invisibili. Si percepisce la loro energia, la loro aura, ma non sembrano persone vere. E inoltre sono tutti molto presuntuosi e odiosi.
Klemmer è un narcisista e maschilista che disprezza le donne anche se finge di no; più volte viene ripetuto che è innamorato, ma non fa che manipolare Erika con il suo atteggiamento di superiorità e i suoi insulti velati (ma neanche tanto). La mia idea di amore è un po' diversa.
Erika è presuntuosa e altera, e al contempo debole e molto immatura. Non sa cosa vuole, chiede e poi si lamenta se riceve quello che ha chiesto, vuole dominare ed essere dominata insieme.
Nella relazione entrambi risultano confusi e impacciati, non si capisce che ruolo voglia ognuno dei due, chi sia il padrone e chi lo schiavo. Non si capisce nemmeno perché interagiscano, a dire la verità.

Riguardo allo stile, ho già detto che il libro è ben scritto, il linguaggio è molto forbito e curato. Spesso risulta angosciante, si percepisce la tensione soprattutto del rapporto madre-figlia. Al contrario, quello tra Erika e Klemmer risulta asettico: non si percepisce nessuna emozione, anche le scene di sesso sono fredde e meccaniche, non c'è ombra di passione o desiderio (ma nemmeno di rabbia, di frustrazione, di dolore, sebbene a parole risultino presenti).
Ho apprezzato molto le descrizioni, che fanno ampio uso di similitudini e metafore spesso disgustose, molto efficaci (a lungo andare però diventano troppe), e la ricchezza di dettagli sensoriali, soprattutto visivi e olfattivi. Alcune scene sono disturbanti, quasi splatter.
Il problema è che quasi tutto il libro è descrizione, i fatti sono pochi e l'autrice si dilunga a descrivere o parlare di cose irrilevanti o di azioni quotidiane che non aggiungono nulla alla trama. Sembra una lunga prova di scrittura, poco coinvolgente. Di conseguenza La pianista non è un libro che consiglierei, anche se è stato interessante conoscere questa autrice.

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