IL CANTO DI PENELOPE – Margaret Atwood

Il canto di Penelope - Margaret Atwood
Titolo: Il canto di Penelope
Autore: Margaret Atwood
Traduttore: M. Crepax
Copertina flessibile: 153 pagine
Editore: Ponte alle Grazie (2018)
Prezzo: 11,47 €

Il canto di Penelope di Margaret Atwood non è altro che la storia di Penelope, che tutti conosciamo, raccontata da lei stessa in prima persona. Penelope, ormai nell'Ade da secoli e quindi non più timorosa di eventuali punizioni divine, fa delle rivelazioni, dà spiegazioni, chiarisce cose che, secondo lei, sono state ignorate o travisate nelle versioni conosciute della sua storia. E soprattutto cerca di riscattarsi, di mettere in chiaro in cosa la sua fama le rende giustizia e in cosa no, in una sorta di apologia che risponde ad accuse protrattesi per secoli e secoli.
Ho trovato l'idea originale e ho apprezzato molto il punto di vista – ovviamente, trattandosi della Atwood – femminile e femminista. L'autrice ha scelto non a caso un personaggio che viene comunemente considerato un esempio per tutte le donne; eppure la stessa Penelope, nel libro, invita le donne a non seguire il suo esempio!
I temi sono quelli cari all'autrice: in sostanza la donna, il modo in cui è socialmente e storicamente percepita, le sue presunte qualità (bellezza e virtù) e i suoi presunti difetti.

I personaggi del libro, tuttavia, non mi sono sembrati molto incisivi, compresa la stessa Penelope. Ed è un peccato, perché sarebbe stata davvero un'ottima occasione per cambiare la percezione popolare del personaggio, invece questo romanzo non ci riesce. Inoltre, le donne in generale non ne escono molto bene, dato che le altre sono Anticlea ed Euriclea, delle stronze acide, e poi Elena e le ancelle che sembrano tutte delle oche.
Del resto anche i personaggi maschili, in primis Odisseo e Telemaco, non è che facciano proprio una bella figura. D'altra parte l'autrice non poteva prendersi la libertà di stravolgere la storia.

Lo stile è molto semplice e scorrevole, ma piuttosto anonimo. Inoltre le parti corali mi hanno infastidito e le ho trovate del tutto inutili, ma immagino questo sia un problema mio.
È il terzo libro che leggo di Margaret Atwood e, dal punto di vista stilistico, finora mi è piaciuto solo L'altra Grace (già recensito qui). Mi dispiace perché lei ha idee originali e intelligenti, e affronta temi che sono decisamente di mio interesse, eppure non riesce a prendermi come vorrei.
Nonostante questa mia opinione personale, oggettivamente Il canto di Penelope è un libro che vale la pena di leggere.

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TRAMONTO DI UN CUORE – Stefan Zweig

Tramonto di un cuore - Stefan Zweig
Titolo: Tramonto di un cuore
Autore: Stefan Zweig
Traduttore: B. Burgio Ahrens
Copertina flessibile: 54 pagine
Editore: Garzanti (2015)
Prezzo: 5,95 €

Vi dico subito che, tra tutti i libri che ho letto di Stefan Zweig – uno dei miei autori preferiti in assoluto –, Tramonto di un cuore è quello che mi ha colpito meno. Questo non significa che sia brutto o poco valido, ma se doveste approcciarvi all'autore per la prima volta vi consiglierei qualcos'altro.
In ogni caso, non mancano qui gli ingredienti che rendono Zweig un autore a mio parere meraviglioso. Si tratta di un romanzo come sempre molto breve, e i temi sono quelli cari all'autore:
  • Tormento e solitudine. Il tormento è la sua specialità, tutti i suoi protagonisti sono tormentati, per un motivo o per un altro. Direi anzi che le trame dei suoi libri non sono fatte tanto di vicende o azioni, quanto di sentimenti, pensieri, ossessioni, tutte cose che i personaggi si trovano a vivere in completa solitudine.
  • Denaro. Il protagonista di questa storia, il vecchio Salomonsohn, ha dedicato tutta la sua vita a un lavoro che gli permettesse di offrire alla sua famiglia una vita agiata, ma questo gli si rivolta contro, e lui si rende conto di non essere altro che questo: un marito e un padre ridotto a fonte di denaro ("denaro maledetto da Dio"), ma completamente solo e ignorato.

Riguardo ai personaggi, mi ripeterò. A parte il protagonista, tutti gli altri sono degli accessori, che servono solo a mettere in piedi la vicenda che scatena i sentimenti tormentosi di Salomonsohn, e tra l'altro li vediamo solo attraverso i suoi occhi, per come li percepisce lui. Le loro intenzioni e le loro espressioni sono tutte nella sua testa.
D'altra parte, la psicologia e i sentimenti di Salomonsohn sono indagati profondamente, analizzati, vissuti insieme a lui. Siamo partecipi del suo dolore e della sua ossessione. Magari ci sembrerà esagerato, di sicuro le sue reazioni sono amplificate, ma non si può non comprendere il suo stato d'animo, e il suo crollo emotivo risulta del tutto legittimo.
Tramonto di un cuore mi sembra un titolo perfetto, perché è esattamente questo che ci viene mostrato: un cuore che tramonta, che si spegne.

Lo stile di Stefan Zweig è meraviglioso, pulito, scorrevole, ma anche elegante, delicato, molto curato. Le descrizioni sono bellissime, realizzate anche attraverso similitudini e metafore ben pensate, che suggeriscono immagini molto efficaci. (In questa edizione ho trovato diversi refusi, però.)
Il fulcro del romanzo, come ho detto, è il tormento del protagonista e quindi, oltre alle descrizioni fisiche (quasi del tutto assenti) e ambientali, quelle che più affascinano e colpiscono sono quelle dei sentimenti, resi in maniera molto autentica. È proprio questo che mi fa amare l'autore.
Ve lo ripeto: io comincerei da qualcos'altro, ma in ogni caso anche questo libro merita.

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LACCI – Domenico Starnone

Lacci - Domenico Starnone
Titolo: Lacci
Autore: Domenico Starnone
Copertina flessibile: 134 pagine
Editore: Einaudi (2016)
Prezzo: 10,20 €

Ho deciso di leggere Lacci di Domenico Starnone nonostante io tenda a snobbare gli italiani. Devo dire che, per una volta, non me ne sono pentita. Tanto per cominciare il romanzo è breve, il che è già un pregio.
I temi riguardano i rapporti umani, soprattutto familiari, i legami già richiamati dai lacci del titolo. Legami che sembrano essere una cosa orrenda, un enorme limite alla vita e alla libertà, e che spesso "scadono" perché – è inutile negarlo – le persone si stancano le une delle altre, anche se si tratta del coniuge, perfino se si tratta dei figli. Essere legati a qualcun altro significa dargli il potere di rovinarti la vita.
Non so se l'autore avesse in mente di trasmettere un messaggio così negativo, ma è quello che è arrivato a me e che, devo dire, ho apprezzato molto, perché è un'idea che condivido. Anche se forse farei meglio a non dirlo pubblicamente.

I personaggi di Lacci non hanno niente di incisivo e non hanno personalità molto sfaccettate. Ognuno ha un qualche lieve tratto distintivo, ma sono caratterizzati più che altro dai loro sentimenti, anch'essi perlopiù negativi: paura, rancore, rabbia, desiderio di vendetta. Non in stile Edmond Dantès, ovviamente, ma una vendetta passivo-aggressiva, attuata lanciandosi frecciatine e rinfacciandosi errori a vicenda.
Immagino che le mie parole non siano molto incoraggianti, ma in realtà sto elencando cose che dal mio punto di vista sono positive. Mi piace l'amarezza.

Anche lo stile è apprezzabile, molto scorrevole e senza troppe pretese. Il mio principale problema con gli italiani è che di solito scrivono come per dimostrare quanto sono bravi, ma in questo caso non ho percepito nessuna presunzione nella scrittura di Starnone.
I dialoghi rendono bene i sentimenti dei personaggi, che si parlano soprattutto per ferirsi, o al massimo sono accondiscendenti. Le descrizioni scarseggiano ma credo sia un bene anche questo.
Non ho capito se il finale avesse l'intenzione di sorprendere, comunque io l'ho trovato scontato. Nel complesso, comunque, il romanzo mi è piaciuto e lo ritengo molto valido.

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JANE EYRE – Charlotte Brontë

Jane Eyre - Charlotte Brontë
Titolo: Jane Eyre
Autore: Charlotte Brontë
Traduttore: L. Spaventa Filippi
Copertina flessibile: 320 pagine
Editore: Newton Compton (2010)
Prezzo: 4,16 €

Jane Eyre di Charlotte Brontë è un altro di quei romanzi che non hanno bisogno di presentazioni. Tutti conoscerete la storia, ma vi elenco alcuni temi come al solito.
  • Educazione, emancipazione, indipendenza. Uno dei punti forti del romanzo è il carattere della protagonista, che viene fuori sin dalla prima pagina, quando è ancora una bambina. Jane ha un carattere deciso, una dignità incrollabile, e crede fermamente nelle sue idee. Non si lascia sottomettere nemmeno quando vorrebbe, e questo nonostante la sua vita sia durissima sin dall'infanzia.
  • Amore. Quella di Jane Eyre è per me una delle più belle storie d'amore. La vita di Jane è come suddivisa in periodi segnati proprio dalla presenza e dall'assenza di amore (di qualunque natura). La solitudine e il desiderio di amore hanno un forte impatto sulle sue decisioni, sebbene lei metta sempre al primo posto la giustizia. A tal proposito:
  • Disciplina e autostima. Jane non è vanitosa o presuntuosa, al contrario si ritiene brutta e insignificante, ma allo stesso tempo crede in sé stessa e nelle sue qualità, è consapevole del proprio valore e non è mai disposta a scendere a compromessi, nemmeno quando sarebbero a suo vantaggio. Se durante l'infanzia la disciplina le viene imposta in modi per niente intelligenti, più tardi lei la interiorizza e ne fa un valore. È un esempio per tutte le donne, per tutte le persone.
  • Bellezza. Come ho detto, Jane non è bella, e in generale di tutti i personaggi viene sempre specificato se sono belli o brutti, come a sottolineare il peso che l'aspetto delle persone assume nella vita. La cara Charlotte non aveva torto.

I personaggi di Jane Eyre sono notevoli. Non solo Jane, ma anche gli altri hanno caratteri incisivi, soprattutto il signor Rochester. Anche lui è brutto: il fatto che i due protagonisti siano esplicitamente brutti è già una cosa ben degna di nota, li rende più autentici e simpatici.
Rochester è uno dei miei personaggi maschili preferiti della letteratura, perché è sarcastico e anche molto umano. Le parole che ha per Jane non sono stucchevoli ma esprimono un sentimento profondo, e sono per me tra le più belle parole d'amore mai lette.
Anche gli altri personaggi sono ben caratterizzati, soprattutto – come sempre – quelli negativi. I personaggi antipatici, qui, lo sono sul serio. Roba da prenderli a ceffoni. Tra tutti citerei St. John, che riesce a risultare immensamente odioso sebbene si ripeta più volte quanto sia retto e giusto ed eccellente e valido.

Lo stile di Charlotte Brontë è elegante ma non pomposo, anzi molto sobrio e razionale. Anche nei momenti di maggiore pathos, niente risulta mai melodrammatico. L'autrice è in grado di restare (o fingersi) imparziale e raccontare i fatti senza suscitare emozioni scontate.
Le descrizioni sono bellissime, i dialoghi ottimi e verosimili. L'amore tra Jane e Rochester è raccontato in maniera realistica, perché non è un improvviso colpo di fulmine che nasce dal nulla, ma un sentimento vero che si sviluppa col tempo attraverso il dialogo, le punzecchiature e i dispetti reciproci.
Che ve lo dico a fare? Jane Eyre è un ottimo romanzo e comunque un grande classico, perciò se non l'avete ancora fatto dovreste proprio leggerlo.

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REBECCA – Daphne du Maurier

Rebecca - Daphne du Maurier
Titolo: Rebecca (o Rebecca, la prima moglie)
Autore: Daphne du Maurier
Traduttore: M. Morpurgo
Copertina flessibile: 425 pagine
Editore: Il Saggiatore (2015)
Prezzo: 16,15 €

Non avevo mai letto Daphne du Maurier e sono contata di averlo fatto adesso, perché Rebecca è un romanzo davvero ben scritto. Credo che leggerò qualcos'altro dell'autrice.
Vediamo quali sono i temi trattati.
  • Competizione e aspettative. La protagonista del romanzo si sente costantemente in competizione con Rebecca, la prima moglie (morta) dell'uomo che ha appena sposato, Maxim. Buona parte del libro – e del personaggio – ha a che fare con questo senso di inadeguatezza, di non essere all'altezza, di non poter competere con quello che è stato prima. E tutti gli altri personaggi non fanno che accrescere questa sensazione, nella protagonista e nel lettore. Che ansia.
  • Economia domestica. Tema collegato al precedente, in quanto la questione è: come si fa a gestire una casa-reggia come Manderley? Come faceva Rebecca a portarla avanti, a occuparsi di tutto, a trattare con la servitù? La strategia adottata dalla protagonista, del resto, consiste nel non fare niente.
  • Matrimonio e relazioni. Diciamo pure che potrei elencare una serie di incapacità della protagonista e farei prima. I temi hanno praticamente tutti a che fare con cose che lei non sa gestire, tranne:
  • Morte. Non che questa sappia gestirla, ma diciamo che almeno è qualcosa di più grande e che non riguarda la sua incapacità nella vita di tutti i giorni.

I personaggi di Rebecca sono descritti molto bene a livello fisico. Le personalità invece non sono così ben definite; piuttosto, i personaggi sono caratterizzati dai loro ruoli e atteggiamenti, soprattutto nei confronti di Rebecca e della seconda moglie (che non ha un nome, perciò continuo a usare perifrasi). Potremmo dividerli tra quelli che amano Rebecca e quelli che non la amano. Che sono ben pochi, comunque.
La protagonista è piuttosto fastidiosa perché non ha carattere, non prende decisioni né posizione in niente, si lascia trascinare in modo passivo e si lamenta tutto il tempo perché tutti amano Rebecca e non lei. Dopodiché, di punto in bianco, capisce che il marito la ama e il suo comportamento cambia da un momento all'altro. Tra l'altro pare che Maxim l'ami solo perché è molto più giovane di lui; per il resto è noiosissima e stupida, non dice mai niente di sensato.

Lo stile è il maggior pregio del romanzo. È bellissimo, ricco, elegante, una scrittura molto raffinata e suggestiva, capace di trasmettere ansia, inquietudine e cupezza anche quando, concretamente, non sta accadendo nulla di inquietante. Le descrizioni sono meravigliose, accuratissime, e questo già dalla prima pagina del libro. Si tratta di un romanzo piuttosto voluminoso e spesso anche prolisso, con dialoghi completamente superflui, ma è scritto così bene che si procede senza mai annoiarsi e godendosi ogni frase.
Anche solo per questo è un libro che consiglierei.

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UNA LONTANA FOLLIA – Kate Morton

Una lontana follia, Kate Morton
Titolo: Una lontana follia
Autore: Kate Morton
Traduttore: A. E. Giagheddu
Copertina flessibile: 567 pagine
Editore: Sperling & Kupfer (2011)
Prezzo online: 9,26 €

Che bei tempi quelli in cui Kate Morton scriveva romanzi belli come Una lontana follia! Alla seconda lettura confermo l'idea che mi ero fatta anni fa: questo romanzo è bellissimo (anche se non all'altezza del Giardino dei segreti, già recensito qui).
Come al solito, nei libri della Morton il 90% del lavoro lo fa la trama: anche in questo caso è intricata, coinvolgente, ricca di piccoli e grandi eventi che si scoprono poco a poco, rendendo la lettura un vero piacere e mai noiosa.
I temi toccati riguardano soprattutto la famiglia. Il rapporto tra Edie e sua madre Meredith, ma anche quello tra le sorelle Blythe e di queste ultime col padre. Il sacrificio e l'abnegazione, il bisogno di proteggere l'altro. Quelli di Kate Morton sono alla fin fine dei romanzi famigliari, sono le storie non di singoli personaggi ma di intere famiglie: ogni personaggio si porta dentro la sua famiglia (anche se detta così sembra un po' mafiosa, ndr), anche quando se ne separa.
In più c'è, ovviamente, l'amore anche in altre forme, ma quasi sempre tragico o perduto. E poi la guerra, che fa da sfondo alla storia dei Blythe e della giovane Meredith.

I personaggi di Kate Morton sono descritti in maniera efficace in ogni loro comportamento, sono teneri e ci si affeziona a loro, e poi ce n'è sempre qualcuno che spicca per complessità. Di solito è uno dei più antipatici, ma quando lo si comprende – e l'autrice è brava a farlo succedere – si finisce per volergli bene o almeno per capire le sue ragioni.
Nel caso specifico si tratta di Percy Blythe. Juniper viene descritta come la più viva e affascinante delle sorelle, mentre Percy è quella più rigida e austera, perfino odiosa a tratti, ma è in assoluto il personaggio più sfaccettato e più profondo. A me è piaciuta un sacco.

Per quanto riguarda lo stile, come al solito è molto scorrevole, elegante quanto basta ma alla portata di tutti, altrimenti il libro non potrebbe essere così coinvolgente. Le descrizioni sono buone, a volte anche molto suggestive, e il pathos non manca. Certi passaggi fanno venire i brividi e non vi nascondo che il finale, per quanto possa essere sdolcinato, mi ha commosso molto e ho terminato la lettura in lacrime.
Purtroppo il titolo originale – The distant hours – non è stato tradotto ma del tutto sostituito, il che non è una novità per l'editoria italiana. Tuttavia non ha molto senso, dato che nel testo viene più volte ripetuta la formula "le ore lontane", ma a quanto pare non è stato ritenuto un titolo abbastanza accattivante. Inoltre la mia edizione è piena di refusi, ma è quella del 2011 che non si trova più in giro. Spero come sempre che quelle più recenti siano state migliorate.
In ogni caso Una lontana follia è un libro davvero bello, ha tutti gli ingredienti per un ottimo romanzo e lo consiglio assolutamente.

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HISTOIRE D'O – Pauline Réage

Histoire d'O - Pauline Réage
Titolo: Histoire d'O (o Storia di O)
Autore: Pauline Réage
Traduttore: A. D'Anna
Copertina flessibile: 236 pagine
Editore: Bompiani (2013)
Prezzo: 10,20 €

Immagino che a nessuno importi delle mie preferenze sessuali, ma devo dirvelo, se non altro perché il mio parere su Histoire d'O di Pauline Réage va letto alla luce di questo: a me la violenza nel sesso non piace. La trovo degradante e non riesco ad associarla a nessun sentimento che non sia l'odio. Non sono contraria in assoluto: finché è consensuale, e tutte le persone coinvolte sono contente, mi sta bene tutto.
Il fatto è che, se Histoire d'O è considerato il più grande classico della letteratura erotica BDSM, per me non solo non ha niente di erotico, ma neanche di BDSM. Appunto perché le pratiche BDSM dovrebbero essere consensuali. E okay, in questo romanzo le donne finiscono per apprezzare le torture che subiscono, per andarne perfino fiere, ma vengono iniziate a un certo stile di vita tramite la forza e l'inganno, partendo dal presupposto che tanto lo apprezzeranno perché è la loro natura.
Ma anche no! Io lo trovo un insulto alla dignità delle donne, che qui sono né più né meno che carne da macello. Un insulto tanto più grande in quanto scritto da una donna. Che magari amava davvero essere torturata; buon per lei, ma generalizzare in questo modo mi pare un tantino eccessivo e sessista.
Ad ogni modo. I temi sono già chiari: non tanto sesso – malgrado sia definita letteratura erotica –, quanto violenza, dignità, sessismo, potere. E poi amore e libertà: le considerazioni su questo binomio, stranamente, le ho trovate molto interessanti e acute. Anche se purtroppo si riferiscono solo alle donne, com'è ovvio.
Il finale l'ho trovato terribile. Un ultimo insulto alla protagonista e al lettore, a mio parere.

Dei personaggi non vale neanche la pena parlare, perché non solo non hanno personalità (nessuno di loro, nemmeno il più influente e violento dei "padroni"), ma non hanno neanche senso.
Diciamo che di O si cerca di indagare qualche sentimento e motivazione: si capisce che si è sempre sentita inferiore agli uomini, di avere un certo potere su di loro ma quasi illegittimo, perché nel suo immaginario è lei, in quanto donna, a doversi inginocchiare di fronte a loro. E alla fine è per questo che la sua condizione di schiava le sta bene, la rende perfino felice e orgogliosa di sé.
Di tutti gli altri non saprei nemmeno che cosa dire. Sono solo stereotipi.

Ho invece apprezzato molto lo stile. È una scrittura scorrevole e fluida, anche perché, vista la pesantezza degli avvenimenti, sarebbe impossibile leggere altrimenti. Le descrizioni sono molto efficaci e, per questo, non sempre piacevoli da leggere, dato che si tratta di situazioni estreme. Inoltre alcune, al di fuori dei contesti "erotici", sono davvero belle, certe immagini sono rese con una dolcezza che quasi quasi pare sprecata in un romanzo del genere.
Molto fastidioso l'uso del termine "grembo" per indicare ben altro.
Per una questione di mia sensibilità personale non mi sentirei mai di consigliare questo libro a nessuno, ma se vi interessano certi argomenti potreste apprezzarlo più di me. Almeno non è 50 sfumature.

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Infine, se siete interessati o curiosi nei confronti del BDSM (e non siete già esperti), vi suggerisco anche questo manuale, che ho letto – eh sì, ero proprio nel mood – con molto scetticismo ma che mi ha sorpreso perché è scritto in maniera semplice e alla portata di tutti ma molto intelligente e ironica.
Au revoir. Divertitevi.

LA SCOPA DEL SISTEMA – David Foster Wallace

La scopa del sistema - David Foster Wallace
Titolo: La scopa del sistema
Autore: David Foster Wallace
Traduttore: S. C. Perroni
Copertina flessibile: 560 pagine
Editore: Einaudi (2014)
Prezzo: 12,75 €

La scopa del sistema è un'altra opera geniale di David Foster Wallace, e ancora una volta io sarò di parte.
Come faccio a dirvi di cosa parla questo romanzo? Se anche leggeste la trama in copertina non sapreste ancora nulla. Perché la trama è molto relativa e spezzettata, e tutto quello che succede è simbolico. È un'allegoria. Tipo la Divina Commedia. (No.) Il buon David aveva una fantasia pazzesca.
Alcuni dei temi:
  • Ego. E tante cose ad esso collegate, come il potere, ma anche – e questo mi ha sorpreso – il grasso. Ingozzarsi e ingrassare a dismisura come strategie per crescere e occupare tutto lo spazio possibile, sottraendolo agli altri. E poi la gelosia e la possessività, perché ciò che è mio non può essere di nessun altro, nemmeno se si tratta di una persona, e in quanto tale ha una volontà ben separata dalla mia; le ossessioni, come ulteriore mezzo di separazione dell'Io dall'Altro. Come al solito DFW si dimostra un gran conoscitore della natura umana.
  • Parole. Non solo come strumento essenziale per comunicare e definire le cose, ma anche per farle esistere. Lenore, la protagonista, è stata educata a credere reale solo ciò che si racconta o che si può raccontare; la sua stessa identità è messa in discussione. Lei non esiste: esiste di lei ciò che se ne dice. Teoria confermata, o almeno sostanziata, dall'ampia presenza di racconti estranei alla trama centrale.
  • Etica. Problema furbamente rappresentato da un analista (e non solo lui, naturalmente). Il dottor Jay ignora del tutto l'etica professionale e dice una cavolata dietro l'altra, e il fatto che gli altri personaggi se ne rendano ben conto e, nonostante questo, continuino a vederlo la dice lunga.

I personaggi sono molto eccentrici, assurdi e allo stesso tempo verosimili, perché hanno caratteri sfaccettati e sorprendenti. Come sottolineato nella prefazione, sono caratterizzati attraverso quello che fanno con il corpo: assumere sostanze, sanguinare dal naso, ingrassare, coprire la calvizie incipiente con un berretto, mangiare piselli surgelati, affondarsi le mani nella barba... Le loro personalità sono esasperate, a volte in modo divertente, altre in modo molto fastidioso. Spesso parlano in maniera pretenziosa, pur sparando un'idiozia dietro l'altra. Di sicuro non si può negare la loro originalità.
Il dottor Bloemker mi ha fatto morire dal ridere, ma il personaggio più incisivo, più indagato, più approfondito (aspetto, comportamenti, pensieri, paure e perfino i suoi sogni, e quindi l'inconscio) è – ahimè – Rick Vigorous, che diventa a ogni pagina meno sopportabile.
A proposito, una delle cose che mi fanno impazzire di DFW sono i nomi, spesso indicativi e/o ironici: Rick (o Dick) Vigorous, per esempio, è un omino ben poco virile e ossessionato dal suo pene minuscolo.

Lo stile di DFW è inimitabile e vario, complesso, pieno di parole desuete, per niente lineare, a volte difficile da seguire, se ci si distrae. È una scrittura che richiede attenzione e impegno, ancora più impressionante perché l'autore aveva solo 24 anni quando ha scritto La scopa del sistema. Dannato genio.
Non dev'essere per niente facile da tradurre, eppure in italiano rende alla perfezione, anche se ci sono dei giochi di parole che non possono essere riprodotti in una lingua diversa dall'originale. (Nonostante tutto, però, devo dire che ho trovato qualche errore grammaticale, anche grossolano.)
Le descrizioni sono a volte grottesche, lunghissime e perfino superflue, ma divertenti e molto efficaci, perché vanno oltre la superficie, veicolano significati oltre che dati di fatto. I dialoghi sono anch'essi assurdi ma sempre credibili, forse proprio grazie all'assurdità, che non manca mai nelle conversazioni di tutti i giorni. La prosa cambia di continuo, e l'autore è talmente bravo che, all'occorrenza, riesce a scrivere intenzionalmente in maniera mediocre risultando ancora credibile.
Mi ripeterò: David Foster Wallace può piacere o non piacere, ma si distingue da qualsiasi altro autore. E a mio parere va letto, anche se non è per tutti.

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ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO – Gail Honeyman

Eleanor Oliphant sta benissimo - Gail Honeyman
Titolo: Eleanor Oliphant sta benissimo
Autore: Gail Honeyman
Traduttore: S. Beretta
Copertina rigida: 344 pagine
Editore: Garzanti Libri (2018)
Prezzo: 15,21 €

Eleanor Oliphant sta benissimo è il romanzo d'esordio di Gail Honeyman, che per qualche motivo non mi ha mai incuriosito. Poi mia sorella me l'ha consigliato e, poiché conosce i miei gusti, mi sono fidata e l'ho letto. Non avevo grandi aspettative, ma è riuscito comunque a deludermi.
L'idea è interessante, e anche la protagonista potrebbe esserlo, ma nessuna delle due cose è sviluppata in maniera soddisfacente.
I temi del romanzo sono diversi:
  • Famiglia, amicizia, relazioni. Tutte cose assenti o disfunzionali nella vita di Eleanor. (Spoiler: la sua vita migliora nel corso della storia.)
  • Depressione, malattia mentale, disagio sociale. Eleanor è stramba e gli altri la evitano, ma per fortuna lo è in maniera originale, dato che il protagonista socialmente inadeguato sembra essere diventato un must have di ogni romanzo contemporaneo. (Non che a me dispiaccia.)
  • Amore. Come ho detto prima, i buoni sentimenti sono assenti nella vita di Eleanor, oppure disfunzionali e distorti. Nonostante lei abbia trent'anni, c'è perfino una storia d'amore platonico degna della più tipica adolescente.

I personaggi del libro non sono in alcun modo degni di nota. Eleanor ha una storia e una personalità originali, e per molti aspetti mi sono rivista in lei (e non è un bene, dato che è alquanto antipatica). Ecco perché in alcuni momenti ho provato simpatia o almeno pietà per lei, ma nel complesso non mi è sembrato un personaggio ben riuscito. Gli aspetti interessanti non sono approfonditi a sufficienza. I suoi modi di fare sono particolari, ma le reazioni altrui al suo cospetto sembrano esagerate e senza senso, soprattutto nella parte iniziale del libro. Ci si chiede che cosa sia a spaventare tanto la gente, e ci si aspetta di scoprirlo più avanti, ma non è così.
Sugli altri personaggi c'è poco da dire: sono solo accessori e descritti in modo stereotipato in base al ruolo che rivestono in funzione della protagonista.

Anche lo stile è molto sempliciotto, come si confà a tutti i romanzi del genere. È scorrevole e facile da leggere, nonostante Eleanor parli in modo forbito, ma mi ha annoiato. Le descrizioni sono scarse e per niente accurate, i dialoghi poco autentici.
Il romanzo è suddiviso in tre parti, di cui la prima serve a presentare il personaggio, ed è appunto noiosa e inutilmente lunga. Si capisce che ci sono delle cose non dette, che però non incuriosiscono a sufficienza. La seconda parte è molto più interessante, si entra nel vivo della storia e finalmente troviamo le spiegazioni che ci spettano, ma dura meno. Vale davvero la pena di leggere tutto quello che viene prima, per arrivarci? Infine, un colpo di scena messo lì apposta per sorprendere e poi il libro è finito. Mi sono sentita un po' presa in giro, per la verità.
Il libro ha avuto un gran successo, perciò io non pretendo di venire qui a dirvi che è brutto e non dovete comprarlo, magari lo amerete. Non è impegnativo e si legge in pochi giorni, ma per quanto mi riguarda sono stati giorni sottratti a letture più interessanti.

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TRILOGIA DELLA CITTÀ DI K. – Agota Kristof

Trilogia della città di K. - Agota Kristof
Titolo: Trilogia della città di K.
Autore: Agota Kristof
Traduttore: A. Marchi, V. Ripa di Meana, G. Bogliolo
Copertina flessibile: 384 pagine
Editore: Einaudi (2014)
Prezzo: 11,05 €

Agota Kristof è una delle mie autrici preferite, e Trilogia della città di K. è considerato il suo capolavoro. Personalmente ho preferito altre sue opere, ciò non toglie che questo libro sia geniale e molto, molto particolare.
Innanzi tutto, i temi sono ricorrenti nelle opere dell'autrice:
  • Solitudine e disperazione. Sarà per questo che la amo. La solitudine permea ogni scritto della Kristof, e quando termino un suo libro mi sento veramente una disperata. Per me è un pregio, ma capisco se a questo punto vorrete evitare i suoi libri!
    (Ci sarebbe anche la guerra, ma facciamo che è già inclusa in questo punto.)
  • Famiglia. Nella Trilogia troviamo diversi esempi di famiglia, e non mi pare ce ne sia una sana e unita. Sono tutte spezzate, tutte disfunzionali, tutte malate. Cosa che del resto si può dire praticamente di ogni singolo personaggio.
  • Educazione, addestramento, coping. Nel primo libro, Il grande quaderno, l'addestramento autoimposto e realizzato dai due gemelli protagonisti è tutto. Si tratta di due bambini che si autoinfliggono sofferenze per abituarsi alla vita e, del resto, la realtà intorno a loro non perde occasione di mostrarsi dura come se l'aspettano.
  • Amore. Sì, è molto difficile scovarlo, ma c'è. Sebbene anche in questo caso sia qualcosa di – perlopiù – morboso e malato e che in più di un caso porti alla morte. Allegria.

I personaggi sono delle persone orribili. E quindi verosimili. La caratterizzazione è scarsa, si riportano solo elenchi di azioni e avvenimenti. I personaggi sono le somme delle loro storie e dei loro dolori. Scandagliarne la psicologia sarebbe una perdita di tempo, perché l'importante sono i fatti, la verità.
I due protagonisti sembrano tutto sommato persone normali, per quanto indurite dalla vita. E come loro ce ne sono poche altre. Quasi tutti gli altri invece sembrano difettosi, perversi o pazzi, ognuno a modo suo. I bambini sono tutti precoci, intelligentissimi e disperati già all'età di sei, sette anni.
Aggiungerei che a un certo punto la stessa identità dei personaggi viene messa in discussione, un motivo in più per non perdere troppo tempo nell'analisi della psicologia. Perché farlo sarebbe veramente una presa in giro.

Io adoro lo stile dell'autrice. È molto diretto, asciutto, conciso, quasi freddo. Giorgio Manganelli ha definito quella di Agota Kristof «una prosa di perfetta, innaturale secchezza, una prosa che ha l'andatura di una marionetta omicida». Un'immagine che calza a pennello, non saprei come renderla meglio di così. È tagliente, è come un'arma affilata e letale, tanto più che il contenuto non è proprio leggerino, perciò la freddezza con cui viene veicolato è impressionante. Fa sembrare normale la perversione. (E non lo è, forse?)
Le descrizioni e i dialoghi sono essenziali, come un po' tutto il resto. Non ci sono sprechi di parole. Forse è solo perché la Kristof scriveva in una lingua che non era la sua, ma alla fine il risultato è di un'efficacia disarmante.
Nel bene o nel male, questo libro lascia il segno.